Maurizio Magnabosco, già direttore Personale e Organizzazione di Fiat Auto per lunghi anni, e amministratore delegato di Fiat Ferroviaria, dal gennaio 2001 dirige la Fiat in Turchia. E’ anche docente a contratto di Organizzazione Aziendale presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Napoli e docente di Direzione del personale presso lo Iulm di Milano

Ora che il modello Fiat attraversa un momento di crisi molto grave e quello Olivetti è finito da tempo, vorrei fare un confronto fra i due modelli industriali, in particolare riguardo alla gestione del personale.
Olivetti e Fiat sembrano essere agli antipodi, a mio avviso più dal punto di vista della rappresentazione che se n’è fatta, che da quello della realtà delle cose. Comunque non c’è dubbio che Olivetti, pur in una logica fordista di lavorazione in serie, sia riuscita ad evitare il conflitto sindacale in fabbrica tramite un’organizzazione del lavoro che ricomponeva le fasi della lavorazione, riuscendo così a dare, come si diceva un tempo, un senso compiuto al lavoro.
Ora, è vero che al vertice di questa organizzazione c’era un imprenditore illuminato che si chiamava Adriano Olivetti, ma è anche vero che le macchine da scrivere erano oggetti che potevano ruotare intorno all’operaio, dunque, volendo, si potevano comporre le fasi: cinque, dieci minuti anziché brevi cicli di un minuto. E’ da questa differenza oggettiva che bisogna partire per fare un’analisi comparativa. Quando io arrivai a Mirafiori, nel ’76, il confronto sindacale era imperniato sul “nuovo modo di fare l’automobile” per cui tentammo in buona fede di ricomporre le fasi, così com’era in Olivetti o in Volvo. Ci scontrammo ben presto con l’oggettività dell’elemento tecnico: non era possibile, restando nell’ambito dell’esempio olivettiano, far ruotare l’automobile attorno agli operai per ricomporre il ciclo e dare un senso compiuto all’attività. Ai tempi dell’accordo sindacale del marzo del ’74, se lei ricorda, negli stabilimenti di Rivalta e di Termoli si tentò un lavoro di ricomposizione a tavolino. Mentre a Termoli si progettarono delle isole di montaggio in cui venivano ricomposte le fasi di lavoro proprio perché il motore può ruotare intorno all’operaio, a Rivalta, dove si fa il montaggio finale dell’automobile, l’esperimento non riuscì neppure a decollare, perché si dovette constatare che il vincolo tecnico non lo consentiva. Quando in azienda si comincia a ragionare intorno alla fabbrica integrata, bisogna partire proprio dal fallimento di questa esperienza.
Quindi, tornando alla sua domanda iniziale, non c’era soltanto l’esigenza di mantenere il controllo della produzione, ma anche un vincolo oggettivo insito nella tecnologia di prodotto e di processo.
Se questa è la premessa, è chiaro che ne discende tutta una serie di conseguenze: in Olivetti è più facile dare respiro al confronto sindacale e inserire nella vita di fabbrica elementi collaterali, ma di grande significato partecipativo e di coinvolgimento.
In Fiat, in quegli anni, tutto questo non c’era, la tecnologia toglieva terreno al confronto.
Accanto a questa, c’erano altre importanti differenze: la dimensione fisica, la dimensione “politica”, la diversa “emblematicità’” delle due aziende.
Anch’io credo ci sia questo elemento di necessità dovuto alla differenza del prodotto, però ci sono anche altri aspetti non determinati dal prodotto. Il rapporto col territorio, molto diverso nei due casi, e poi il problema della formazione. In Olivetti si è riusciti a tenere in azienda i lavoratori trasformandoli da meccanici in elettromeccanici…
Questo è assolutamente vero; sia in Olivetti che alla Fiat, il contenuto tecnologico del prodotto cambia radicalmente negli anni. Allora, come mai all’Olivetti c’è stata un’evoluzione anche della professionalità che ha permesso al lavoratore di passare dal meccanico all’elettromeccanico all’elettronico, mentre nell’automobile non è accaduto altrettanto, o meglio non è accaduto in eguale misura?
Bisogna anzitutto ricordare che la crescita di professionalità nel settore automobilistico è avvenuta, ed è stata profonda, nella tecnologia di processo, la quale, con l’avvento dell’alta automazione, ha introdotto competenze informatiche ed elettroniche diffuse.
Il governo dell’apparato produttivo nel suo complesso, dopo l’introduzione diffusa di tecnologie altamente automatizzate, si trasferisce da alcuni ben individuati centri regolatori ad un sistema di regolazione ed autor ...[continua]

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