Ubaldo Bonuccelli è professore associato presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università degli Studi di Pisa; è docente di Neurologia presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia. Ha un incarico presso il nuovo ospedale del comprensorio Versilia. Da anni studia e fa ricerca sulle malattie degenerative, su cui ha pubblicato monografie e articoli su riviste scientifiche. E’ condirettore scientifico del Gruppo S.I.M.S (Studio e Intervento sulle Malattie Sociali).

Ci può spiegare per sommi capi che cos’è il Parkinson?
La malattia di Parkinson è una malattia definita come neurodegenerativa perché è una malattia neurologica che interessa il sistema centrale, dovuta alla degenerazione, cioè alla perdita precoce, di un gruppo di neuroni, i nigrostriatali della sostanza nera. La perdita di questi neuroni per cause di tipo degenerativo, assomiglia, in pratica, alla caduta dei capelli: ci sono dei neuroni che muoiono rapidamente, altri che funzionano di meno, così come i capelli, in chi li perde, diventano più sottili, si sfaldano; in sostanza, queste cellule perdono, mano a mano, la loro funzione.
Questi neuroni pur essendo solo centomila a destra e centomila a sinistra, in un numero piccolo, quindi, rispetto alla massa dei miliardi di neuroni cerebrali, hanno un ruolo strategico nel controllo del movimento: producendo infatti un neurotrasmettitore, che si chiama dopamina, che va ad interagire con un altro nucleo cerebrale, che si chiama nucleo striato, queste cellule dopaminergiche regolano il movimento. Un impoverimento, una perdita di queste cellule, viene in parte compensata dalle strutture cerebrali, ma a condizione che il 20-30% di queste cellule sia ben funzionante e compensante; al di sotto di questa soglia, si hanno le prime manifestazioni cliniche della malattia: il tremore, la rigidità muscolare e il rallentamento nell’esecuzione del movimenti. A un certo punto, quando queste stesse manifestazioni cliniche aumentano d’intensità, il paziente va dal medico e vengono messe in atto una serie di terapie farmacologiche che, però, per ora, sfortunatamente, sono solo sintomatiche; rimpiazzano, cioè, la dopamina che, come ho detto, viene a mancare a livello del nucleo striato perché nella sostanza nera ci sono meno cellule dopaminergiche che la producono. Quindi noi cosa facciamo? Diamo, in pratica, dei precursori della dopamina, il levodopa, o degli analoghi della dopamina, che sono i dopamina-agonisti, che a livello cerebrale vanno ad agire proprio in quel punto particolare e preciso della sostanza nera e del nucleo striato. E’ un po’ come voler fare il pieno di carburante nella nostra macchina, magari aprendo il tappo del serbatoio e poi gettandoci la benzina con un secchio. Questo è un po’ l’esempio che mi viene sempre in mente per dare l’idea di una terapia ancora primitiva, e che tuttavia assicura una situazione di benessere ai nostri pazienti per molti anni.
La malattia, però, tende comunque a progredire?
Sfortunatamente. La malattia tende a progredire e questo è il punto nodale; così come la caduta dei capelli in parte si stabilizza, ma poi, progredisce con l’età, la malattia va avanti. Quindi, a un certo punto, i farmaci non bastano più a colmare questo deficit che si è venuto a creare; non solo, ma i farmaci stessi, dopo molti anni, creano, a loro volta, dei problemi, degli effetti collaterali, e quindi, dopo dieci, quindici anni, diventa molto più difficile per i nostri pazienti la vita quotidiana. Le performance motorie si possono ridurre per un 20-30% dei pazienti in modo marcato, fino a livelli d’invalidità molto importanti. Questo è il problema principale di questa malattia.
Quello che manca oggi dal punto di vista biologico, farmacologico, medico, è una terapia neuroprotettiva, come noi la chiamiamo, e cioè una terapia che arresti la perdita di questi neuroni, per restare nella nostra metafora, che blocchi la caduta dei capelli; che addirittura possa reintegrare i neuroni persi, ma questo sarebbe il massimo, una terapia, cioè, ristorativa. Ma una terapia neuroprotettiva sarebbe già tanto perché dal punto di vista farmacologico abbiamo già le armi per riuscire a colmare il gap che si viene a creare nei primi anni di malattia.
Le terapie sintomatiche sono ottime per i primi anni. Allora, se con la neuroprotezione si riuscisse a fermare il disturbo lì, saremmo a posto.
La ricerca comunque continua…
C’è grande attività di ricerca perché la malattia interessa tanti pazienti ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!