Francesca Ciarallo, 30 anni, è collaboratrice de Lo straniero e Vita. Recentemente è stata in Israele per seguire il progetto Go’el, promosso dall’Associazione Papa Giovanni XXIII al fine di sostenere gruppi e individui che praticano la non violenza e la disubbidienza civile nelle aree di conflitto.

I check-point sono veramente una bruttura. Poi, la sensazione che spesso si prova è che, comunque, soprattutto i palestinesi, per quanto siano pericolosi, conoscono delle strade alternative, per cui riescono a passare. Voglio dire che chi ha intenzione di andare in Israele a fare un attentato terroristico sa come evadere i check-point. E allora alla fine capisci che non è neanche una questione di sicurezza; è proprio un volontà di volerli paralizzare e umiliare…

Gli insediamenti: anch’essi sono ai limiti della comprensione e della sensibilità umana, perché, a parte che sono quasi sempre posizionati in cima alle colline, in posizioni strategiche, ma poi sono case a schiera molto belle, alcuni hanno proprio villette con piscina, con molto verde intorno. Noi scherzando dicevamo: “Sono dei villaggi Valtur!”. Sono sempre fortificati, circondati da mura, filo spinato, e protetti dall’esercito. E tra un insediamento e l’altro, e tra gli insediamenti e Israele, ci sono le by-pass road che collegano appunto le colonie l’una all’altra e le colonie a Israele. Queste sono un reticolato di strade, per la maggior parte sopraelevate, l’accesso alle quali è inibito ai palestinesi, per cui ci passano solo gli israeliani e le macchine israeliane .

Il primo giorno volevamo prendere un pullman per arrivare alla Porta di Damasco. Così chiedevamo: “Dov’è la Porta di Damasco? Qual è l’autobus che ci va?”. E praticamente le persone ci rispondevano: “Non esiste alcuna Porta di Damasco”. E’ stato veramente un incubo, perché non capivamo: come non esiste la Porta di Damasco? Sarebbe come dire che a Roma non esiste il Colosseo! Abbiamo provato anche con i taxi, ma è stata la stessa storia, fin quando, dopo averci fatto cambiare 4-5 autobus e averci detto proprio i numeri degli autobus sbagliati, alla fine, dopo tre ore, riusciamo ad arrivare alla Porta di Giaffa, che poi abbiamo scoperto essere molto vicina a quella di Damasco, ci si può arrivare a piedi; ebbene, l’autista dell’autobus ci lascia là, sbraitando di prenderci un taxi. Così prendiamo un taxi che ci porta al New Gate che è la porta prima di quella di Damasco dicendo anche lui che la Porta di Damasco non c’è… Nei giorni successivi, quando mi è capitato di prendere taxi israeliani ho sempre chiesto di lasciarmi al New Gate, poi una volta con un’autista un po’ più disponibile ho chiesto: “Ma scusa, perché?”, “Perché loro sono arabi, mentre io sono ebreo e là non ci posso andare”.

Mi ha colpito vedere tutti questi bambini palestinesi sotto la Porta di Damasco giocare alla violenza, con armi costruite da loro. E poi anche tra loro avevano dinamiche molto violente, si prendevano al collo; c’è una sorta di emulazione. Anche nelle sale giochi di Gerusalemme est, c’è un videogioco che si chiama “Guerra al terrorismo” che sembra ambientato in una città araba e c’è l’esercito da una parte e il fedain dall’altra.

Camminare per le città israeliane è bello, Tel Aviv è una città molto occidentale, moderna, dove a marzo la gente va tutta al mare e ci sono questi lunghi viali alberati dove la sera si passeggia… a Gerusalemme ovest invece, a parte l’altissimo livello di militarizzazione, è fortissima la percezione di insicurezza. E poi il pericolo è reale; più volte mi hanno fermato gridandomi con i megafoni in ebraico, e le persone che dicevano: “Vattene, vattene, c’è un’autobomba!”. Due volte mi sono trovata veramente vicino allo scoppio di un kamikaze: l’ultima ragazza che si è fatta esplodere a Gerusalemme era nella strada parallela a quella in cui mi trovavo io.

Come reagisce la gente? Hanno tutti molta paura, questo lo percepisci dappertutto. Ho visto spesso scolaresche di bambini andare a scuola scortate. Poi è vero che a tante cose fai l’abitudine, come entrare in un negozio ed essere perquisito; uscire di casa e subire 5-6 perquisizioni in un giorno; ti aprono la borsa, gli zaini, è tutto così: perquisizioni continue, ti fermano per strada, poi magari col passaporto europeo è anche più semplice, ma gli arabi li tenevano ore. La gente secondo me è molto stanca di tutto questo, però è ossessionata dalla propria sicurezza, anche giustamente; è che gli israelia ...[continua]

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