Basima Adawin è una giovane palestinese.

Ritieni che Arafat avesse delle buone ragioni per rifiutare la proposta di Barak?
Sì, perché tale proposta non concedeva così tanto ai palestinesi, almeno dal loro punto di vista: non offriva una soluzione positiva per i rifugiati e per Gerusalemme. Non si possono ignorare i tre milioni di palestinesi che vivono fuori, anche all’estero. Questo resta un nodo fondamentale per i palestinesi. Arafat non poteva firmare, è un palestinese.
Ma credi sia possibile far entrare in Israele questi 3 milioni di persone?
Io credo che sia possibile almeno riconoscere il loro diritto. Israele avrebbe dovuto ammettere che esiste questo diritto al ritorno. Certo, poi non tutti i palestinesi torneranno, perché molti di loro ormai si sono fatti una vita dove vivono ora, hanno i loro affari, e allora per tanti il problema è diventato quello di ottenere un risarcimento da parte di Israele. E’ un loro diritto, sono le loro proprietà; non hanno un’altra patria e in Siria o in Libano non si sono mai sentiti a casa. Anche il governo libanese ha sottolineato tale questione; è un nodo cruciale.
Lo stesso non vale forse per Israele che sta riaccogliendo questi milioni di persone che tornano? Si tratta di un mutuo riconoscimento dei diritti. Probabilmente molti palestinesi non torneranno, ma devono essere consapevoli che questo è un loro diritto, che possono comunque scegliere. Un palestinese ha quest’idea: “Forse non torneremo, non ci reinsedieremo là, ma è un nostro diritto, è la nostra terra madre…”. Anche dal punto di vista della terra, questo sarebbe possibile. Ci sono molte zone disabitate, vuote, terre del 1948 che Israele era pronta a destinare per alcuni insediamenti, per cui tanti palestinesi potrebbero tornare.
Israele non vuole riconoscere che la soluzione del problema spetta anche alla valutazione delle Nazioni Unite, alle risoluzioni Onu. L’intera questione sta qui, la soluzione dovrà essere di competenza di un organismo internazionale, sotto una legittimazione internazionale. Questo è ciò che accadde con l’Egitto nel ’79, quando si chiese l’intervento della comunità internazionale. Perché non dovrebbe accadere lo stesso con i palestinesi?
Credi sia stato meglio rifiutare piuttosto che accontentarsi comunque di una fase ulteriore nella costruzione dello stato palestinese?
Ma qui si parlava di un “final status”. Non si trattava più di qualcosa di transi-torio, temporaneo, come previsto a Oslo. Cioè tu accetti questo, e punto, il capitolo è chiuso. Bisognava firmare e sottoscrivere tutto. In futuro non ci sarebbero state ulteriori negoziazioni, né altre questioni da esaminare. Tutto andava specificato e concluso. Per questo i palestinesi non potevano accettare…
Ma non era stato Arafat a chiedere di avere una situazione definitiva?
Ascolta, è dal 1994 che stiamo facendo accordi a partire dal primo, cioè quello di Oslo, poi Oslo uno e due, poi Gerico e Gaza uno, poi Hebron; c’era sempre da ridefinire e rinegoziare ciò che era già stato negoziato.
E’ una sofferenza continua. Ogni volta ti trovi a dover contrattare su ciò che già è stato negoziato, a dover esporti e rompere su quelli che poi vengono considerati dettagli… Allora se si vuole il “final status” bisogna definire tutto e prendersi più tempo. Non c’è fretta, noi palestinesi non abbiamo fretta. Noi vogliamo che i nostri diritti legittimi vengano riconosciuti, ma non vogliamo soffrire.
Molte persone sono morte…
Questo è vero. Molte persone sono morte, ma anche perché i soldati israeliani si comportano in modo sistematicamente illegale in violazione degli standard internazionali, e nessuno dice niente. C’è sempre questo chiamare in causa la sicurezza. Per cui veramente Israele non sembra così interessato alla pace, e mi chiedo se Barak o Sharon abbiano mai mostrato alcun sincero interesse e impegno. Per ottenere la pace c’è bisogno di coraggio, devi accettare la sfida. Certo, noi abbiamo dei palestinesi che stanno facendo opposizione a questo processo di pace; ma anche nella società israeliana ci sono persone che stanno portando avanti una forte opposizione alla rinuncia della sponda occidentale, di Gerusalemme, o della spianata delle moschee…
Ma rispetto alla spianata delle moschee è inevitabile arrivare a un accordo…
Sono arrivati a proporci la sovranità della superficie, ma non del sottosuolo. Naturalmente questo non può funzionare. Se io ho una casa e tu vieni e mi dici: “Senti, questa è la tua casa, m ...[continua]

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