Piero Bevilacqua è ordinario di Storia contemporanea all’Università di Bari. Nel 1986 ha fondato la rivista Meridiana di cui è direttore. Per Donzelli ha pubblicato Tra natura e storia. Ambiente, economie, risorse in Italia.

Dello stato in cui versa la scuola italiana si continua a dire un gran male. Lei come vede la situazione?
Naturalmente è molto difficile rispondere a un quesito del genere perché c’è una straordinaria difformità di situazioni. Io però vorrei subito chiarire che personalmente non concordo con le lamentele degli insegnanti oppure dei professori universitari sul basso livello medio degli studenti che arrivano all’università. E non perché non sia vero quello che essi registrano, cioè un relativo abbassamento della media della formazione dei ragazzi, ma perché qui c’è una inesattezza statistica e storica. Inesattezza statistica perché è verificato che 30-40 anni fa arrivavano alle medie superiori pochi ragazzi in percentuale; il resto non continuava gli studi e si avviava precocemente al lavoro. Oggi invece accedono alla scuola secondaria superiore molti più ragazzi e naturalmente assieme all’élite delle classi borghesi accedono anche i figli delle famiglie della piccola borghesia o del proletariato, come è giusto e socialmente più equo. Ciò naturalmente fa sì che il livello medio si abbassi, ma questo non rappresenta un regresso rispetto al passato, bensì il contrario. Cioè l’élite che accede all’università si è fatta in realtà più larga rispetto al passato, sia sotto il profilo sociale, che sotto il profilo territoriale. Infatti, anche dalle aree più povere, per esempio del Mezzogiorno, i ragazzi che un tempo sarebbero andati a finire nelle officine, nei negozi o nelle campagne proseguono negli studi. Quindi quando i professori nelle scuole o i docenti universitari nelle aule universitarie verificano e percepiscono un abbassamento della media, in realtà percepiscono un fenomeno storicamente positivo, solo che non lo sanno interpretare. Cioè non si accorgono che è cresciuto il numero degli studenti che accedono agli studi più elevati.
Tra l’altro, in alcune aree negli ultimi anni sono stati compiuti dei progressi notevolissimi. Mi riferisco in particolare alla scuola elementare, dove sono in atto dei miglioramenti notevoli soprattutto nella preparazione degli insegnanti, oltre che nella motivazione. A me è capitato di andare in giro in varie parti d’Italia a tenere delle lezioni e ho sempre incontrato degli insegnanti delle elementari di ottimo livello e molto motivati. La scuola media inferiore è in fondo l’anello più debole, e bisognerà vedere che cosa capiterà con la riforma a questo segmento degli studi.
Per quanto riguarda le secondarie superiori, c’è invece una grande differenziazione territoriale. Perché noi abbiamo degli istituti superiori, soprattutto quelli tecnico-commerciali, che se sono collocati in aree periferiche, per esempio nel caso di Roma, in aree vicino alle borgate, chiaramente risentono del basso livello culturale dei ragazzi che vi accedono.
Ma se si pensa ai licei nei luoghi più centrali, anche dal punto di vista di classe, (credo sia giusto utilizzare questo termine, perché il territorio delle città è diviso in classi e così pure le scuole che vi appartengono), io credo che lì gli studi siano più seri, più severi e più esigenti di quanto non accadesse per i ragazzi di venti o trent’anni fa.
Venendo al suo interesse specifico, il territorio, come interpreta questa scelta di non insegnare più la geografia?
Naturalmente, dato questo quadro ottimistico, bisogna aggiungere che ci sono tendenze in atto che sono invece preoccupanti, se non addirittura inaccettabili. E che, nel caso particolare della geografia, rischiano di accentuare un difetto culturale storico del nostro paese, che io sintetizzerei nella scarsa attenzione e sensibilità per il territorio.
Il nostro è un paese dove la geografia non ha avuto grandi cultori, o meglio ci sono stati grandi geografi e però la disciplina non ha conosciuto gli sviluppi e gli arricchimenti che si sono verificati invece in altri paesi in Europa, in Germania, in Francia.
Penso ai risultati straordinari che in Francia ha dato l’incontro tra la storia e la geografia. Marc Bloch e Lucien Febvre e poi Fernand Braudel, comunque tutta la storiografia degli "Annales" sono il frutto di questo straordinario matrimonio tra storia e geografia. Vorrei ricordare che uno dei più grandi libri di storia di questo secolo è sicu ...[continua]

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