Moreno Menini, di Pian di Castagnaro in provincia di Verona, è il componente più giovane del Serenissimo Commando che assaltò il campanile di San Marco nella notte tra il 9 e il 10 maggio ‘97. All’incontro, avvenuto a Verona nel dicembre scorso, hanno partecipato, ponendo domande all’intervistato, Antonio Aldrighetti, Stefano Boschini e Federico Bozzini della Fim-Cisl di Verona, e Marco Pettenella, studente del quinto anno di liceo classico, oltre al nostro redattore.

Puoi parlare delle tue origini, della tua famiglia?
Bene, bisogna che parli in italiano. Allora, io sono cresciuto a Colognola ai Colli, dove sono rimasto fino alla quinta elementare. Dopo, a 11-12 anni sono venuto ad abitare a Pian di Castagnaro con la mia famiglia. La mia era una famiglia abbastanza normale, sia come tipo di vita che come formazione culturale. Mio padre faceva il macchinista alle ferrovie e poi coltivava i campi che erano di mio nonno. Mia madre, invece, faceva prevalentemente la casalinga, oltre a qualche lavoretto part-time. Insomma, la mia era una famiglia tipicamente democristiana di queste parti, perché mio padre era anche consigliere comunale della Dc. Comunque, sono rimasto orfano di mio padre a 17 anni, nel ‘93. Lui è morto sotto il trattore mentre lavorava i campi. E’ una cosa che capita abbastanza frequentemente da queste parti perché qui i campi sono situati un po’ in collina e spesso succede che si ribalti il trattore.
In casa tua si parlava di politica?
Mah, di un po’ di tutto. Con mio padre ho avuto un rapporto molto buono, anche di condivisione ideale. Ovviamente, per quel che si poteva a quel tempo, essendo ancora abbastanza piccolo.
Mi ricordo che con mio padre discutevo spesso, guardando il telegiornale, soprattutto dell’idea, abbastanza diffusa qua a Verona, dell’autogoverno e della rappresentanza degli interessi locali. La Dc qui da noi, prima del ‘92, si è sempre presentata sotto la veste della Balena bianca del Veneto, ossia come una formazione politica che, bene o male, non rompeva tanto le scatole perché difendeva gli interessi locali, nonché un certo particolarismo. Per cui essere democristiani, soprattutto nelle campagne, voleva dire collocarsi in un mondo ben preciso, connotato dall’anticomunismo, che era la matrice ideologica di quei tempi, e dalla difesa degli interessi locali. Era una visione delle cose che si può riassumere in una raccomandazione di questo genere: “State buoni e tranquilli, che facciamo un ministro dell’agricoltura che difende i nostri interessi veneti”.
A questo proposito, mi è piaciuta molto un’analisi fatta l’anno scorso da Ilvo Diamanti sul Gazzettino, dove si parlava del voto democristiano in Veneto come di una raccolta di consenso “etnico”. Per esempio, a Mezzane alle comunali si presentavano solo due partiti: la Dc e il Psi. Regolarmente, grazie al sistema maggioritario, i socialisti prendevano tre-quattro consiglieri, mentre tutti gli altri andavano alla Dc. Non è che ci fosse tanto da scegliere, il risultato delle elezioni era scontato. Si poteva anche fare a meno di votare. Ecco, era così un po’ dappertutto, prima del ‘92.
Che cos’era per voi il comunismo?
Mah, non si discute il male del comunismo. Mio padre è morto alla fine del ‘93 e sono contento che almeno avesse fatto in tempo a vedere la caduta del muro di Berlino.
Nel contesto in cui sei vissuto hai avuto la percezione di un conflitto di classe che attraversava la società in cui vivevi?
No. Qualcosa ho iniziato a percepire negli ultimi anni delle superiori. Io ho frequentato il Liceo Scientifico a Verona est, a San Michele, dove si raccoglievano tutti gli studenti provenienti dalla zona orientale della provincia. Per cui non ho avuto il problema di mescolarmi con studenti di città. Sono convinto che se avessi fatto le scuola in città qualcosa di più di questo contrasto sarebbe emerso. Invece, ho fatto le superiori con gente che veniva da San Bonifacio, da Caliero, da Colognola, Tregnago. Ossia, con gente che veniva dal mio stesso ambiente. Nel mio paese, a parte uno che commercia in preziosi, c’è tutta gente che fa l’operaio, l’impiegato o che ha una piccola impresa. E quelli che sono lì da qualche generazione hanno anche il secondo lavoro, cioè coltivare i campi.
Dicevi che si era democristiani perché si era anticomunisti, quindi non perché si era cattolici...
Magari adesso dico una stupidaggine, ma era un po’ la stessa cosa. L’essere cattolico, anticomunista, democristiano facevano ...[continua]

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