Amilcare Cassetti è operaio alla Valsella, dove lavorava anche la moglie.

Quando si è cominciato a parlarne fra noi ci siamo accorti che tutti sapevamo quello che facevamo prima. Inutile nascondersi. Magari per tanti anni non era così sentita la cosa, neanche fuori, ma poi, quando hanno cominciato a far vedere, a girare le notizie, abbiamo capito che era il momento di muoverci. Così abbiamo deciso di spingere per non fare più il prodotto militare, con mozioni, con petizioni, con manifestazioni, sapevamo che il rischio era grosso, perché l’imprenditore che c’era lì non aveva certo l’intelligenza per capire che era il momento di smettere e di fare una riconversione seria. Io ho sempre detto che saremmo arrivati a un punto critico, che c’era da aspettarsi il peggio.
All’interno, poi, c’era anche il partito del mantenimento della produzione militare. Il Borletti insisteva, forse qualcuno gli aveva garantito un qualcosa ancora, perché continuava a far credere ai suoi seguaci che c’era uno sbocco. Si sentiva parlare di una commessa consistente con la Spagna per dei lanciatori di mine, i cosiddetti canestri, il che voleva dire anche le relative mine perché uno non prende solo il lanciatore. (Li facevamo già negli anni ’80, ma pochissimi, allora facevamo di più i seminatori da elicottero che erano poi la stessa cosa, grosse gabbie da mettere sotto all’elicottero col pilota che, schiacciando dei pulsanti, apriva degli sportelli e seminava le mine nelle zone prevista). Poi loro erano convinti di piazzare su mercato la famosa mina intelligente, una mina con un marchingegno che la rendeva anche disinnescabile. Praticamente potevano regolare il tempo prima, e invece di rimanere lì per 50 anni a un certo punto si disattivava da sola. Avevano tentato anche con le mine anticarro perché per quelle la moratoria non c’è ancora. Quindi uno poteva ancora pensare di farle, io non la condivido la cosa però la legge permette di farle. Insomma, loro dovevano avere qualcosa di concreto in mano e per questo hanno atteso fino all’ultimo. Poi invece è caduto tutto. Alla fine Borletti ha fatto andare l’azienda in liquidazione dopo aver fatto 18-20 miliardi di debiti in tre anni, fra banche, fornitori e anche noi operai perché non ci aveva pagato 8 mesi di contributi nel ’97 senza dirlo. Ce ne siamo accorti andando a controllare all’Inps.

Nel frattempo molti dipendenti se ne erano andati, chi aveva l’opportunità e la possibilità. I tecnici perché han visto che lì non c’era più spazio per loro. Erano rimasti solo quelli che non avevano sbocchi sul mercato del lavoro oppure che credevano alla riconversione. L’anno scorso hanno smesso di pagarci. Settembre, ottobre, novembre, dicembre, senza niente. E’ stato un momento difficilissimo. Ci siamo anche trovati soli. A parte il buon Campovecchi, della Cgil, che ci ha messo qualche anno della sua vita, tutte le varie associazioni pacifiste ci avevano abbandonato. Noi non chiedevamo dei soldi, ma un sostegno morale potevamo aspettarcelo, che si facessero sentire. Invece, a parte padre Marcello, gli altri non si sono più visti. Io ci sono rimasto male perché credo che qualcuno ci abbia usato per le sue propagande e basta. Dalla signora venuta da Pisa e che diceva: "Faremo sfracelli, siamo disposti a tenervi anche in casa, se non avrete più lavoro", non pretendevamo certo aiuti materiale, ma nei mesi di ottobre, novembre, dicembre, gennaio, quando eravamo lì in balia di non so che cosa, una visita, un appoggio, un segno di solidarietà, quelle cose, io me le aspettavo. E invece non ho più visto nessuno. Il loro obiettivo erano le mine, ed era anche il mio, e sono contento di aver appoggiato questa campagna e che l’obiettivo sia stato raggiunto, benissimo anche che abbiano preso il premio Nobel, però...
Il sindacato, devo dire, non ci ha fatto mai venire meno il suo appoggio. Campovecchi fino all’ultimo, e anche dopo, (quando siamo passati metalmeccanici) ci ha messo del suo perché alcune telefonate, e anche brutte, per muovere le acque le ha fatte. Se non c’era lui credo che le cose sarebbero andate avanti ancora un pochino perché se non li prendi di punta tutti se ne fregano perché hanno altri pensieri per la testa. Chi si ricordava di quei 30-40 operai lì?

Le cose bisogna vederle bene: l’accordo che è stato fatto non è da buttare via, perché lì se l’azienda andava in liquidazione, soldi non ne avevamo più. Qui ci sono aziende fallite da 20 anni i cui operai non hanno ancora pr ...[continua]

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