Guido Bolaffi è capodipartimento degli Affari Sociali e capo di gabinetto del Ministero Affari Sociali.

Spesso la questione dell’immigrazione viene presentata coi caratteri dell’emergenza...
Nei fenomeni sociali l’emergenza è un elemento strutturale, quello che non deve accadere è che le istituzioni preposte al governo di questi fenomeni li affrontino con una logica emergenziale, tanto più di fronte a un fenomeno come l’immigrazione, che non è certo dolce e lineare, anzi, è pieno di rugosità, non è pianificabile a priori, procede per strappi. L’emergenza quindi è insita in un fenomeno di questo tipo. In Italia, però, le istituzioni hanno introiettato il principio dell’emergenza, nel senso che si sono ricordate dell’immigrazione solo quando si presentava come emergenza, quindi non hanno mantenuto un passo costante nel governo del fenomeno: si addormentavano, e si svegliavano quando succedeva qualcosa di clamoroso, col risultato doppiamente negativo di arrivare in ritardo e di mandare all’opinione pubblica il messaggio che l’immigrazione è un fenomeno d’allarme, un fenomeno pericoloso. Così si è complicata ulteriormente una situazione che già di per sé non è mai semplice, non è mai bene accolta e apre mille problemi (la storia psicanalitica e quella antropologica ce lo insegnano). Se a tutto questo si sommano gli errori macroscopici delle istituzioni è evidente che è come gettare un cerino in una polveriera.
Ritiene che questo sia frutto della carenza di una cultura amministrativa nel nostro paese?
Questo è frutto di una somma di fenomeni, carenze nella cultura amministrativa, ma anche impreparazione. L’Italia infatti è arrivata di fronte all’immigrazione del tutto impreparata, è diventata terra d’immigrazione senza averlo mai deciso, quasi controvoglia, perché in fondo ce l’hanno imposto gli altri.
Non c’è un atto in cui l’Italia, a differenza di altri paesi dove questo è successo, dica: "Da oggi apriamo le frontiere perché abbiamo bisogno di immigrati". Noi ci siamo trovati degli immigrati dentro e ci siamo chiesti: "Cosa ne facciamo? Come li controlliamo? Come li usiamo?". Non abbiamo mai deciso di aprire le frontiere consapevolmente: le frontiere erano aperte e quelli sono entrati. A conferma di questa situazione c’è il dato che l’Italia è l’unico dei grandi paesi industrializzati ad essersi trasformato in nazione d’immigrazione senza aver raggiunto prima la piena occupazione. Anzi, qui il fenomeno immigratorio si è sovrapposto a una situazione di disoccupazione strutturale, soprattutto nel Mezzogiorno.
Quindi è difficile immaginare l’immigrato come una risorsa nella nostra società...
Beh, io diffido molto del termine risorsa, troppe volte ho sentito imbellettare con questa parola fenomeni dolorosi e difficili. Ho sentito parlare del terremoto come risorsa, ora l’immigrazione come risorsa... Vorrei fare a meno di queste risorse, se possibile, ne preferirei altre ben più ricche. C’è un ottimismo della volontà in queste definizioni, che non mi convince. Devo dire però che sono convinto che l’immigrazione sia un fenomeno strutturale, irreversibile, col quale dovremo comunque fare i conti. Anche perché oggi, più che come risorsa, si presenta come elemento calmieratore di un preoccupante calo demografico nazionale. Come poi questo fenomeno riuscirà a produrre nell’economia è un problema molto più complesso. E’ del tutto evidente che nel Centro-Nord l’immigrazione funziona secondo le regole classiche, positive. Nel Mezzogiorno penso invece che possa rappresentare un ulteriore rischioso elemento di inabissamento di quella parte dell’economia già oggi sotterranea e illegale.

C’è cioè una vasta presenza di immigrati irregolari o clandestini in un tessuto già tendenzialmente portato verso l’irregolarità. Temo che questo possa respingere nel sommerso settori che stanno faticosamente tentando di uscirne. Quindi non esiste una risposta univoca, tanto più perché sappiamo che l’immigrato e il lavoro irregolari penalizzano molto i lavoratori nazionali, soprattutto in quanto "taxpayer", e penalizzano anche l’immigrato regolare. Insomma il gioco non è a somma positiva, potrebbe essere a somma zero: quello che dà in termini demografici si perde in termini economici, almeno in alcune parti del paese. Bisognerà allora apportare i correttivi necessari per evitare che la parte irregolare o clandestina pesi troppo, perché gli effetti sono francamente distorcenti.
E così arriviamo alla sua posizione: una po ...[continua]

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