Michel Wieviorka, sociologo, dirige il Centre d’Analyse et d’Intervention Sociologiques (Cadis) di Parigi e insegna presso la Scuola di studi superiori in scienze sociali (Ehess) sempre a Parigi. Recentemente ha curato la raccolta di saggi Une socièté fragmentée? Le multiculturalisme en débat, Parigi, 1996.

Secondo lei cosa significa una "società multiculturale"?
Quando si impiega la parola "multiculturalismo" o "società multiculturale", ci si rifà ad un vocabolario molto recente. La parola "multiculturalismo", infatti, è apparsa per la prima volta in Canada negli anni Sessanta, quando emerse il problema della minoranza francofona del Québec all’interno di una società anglofona. La maggioranza anglofona rifiutava di pensarsi in termini di bi-culturalismo e di bi-linguismo e, pertanto, inventò il concetto di "multiculturalismo" per complicare in qualche modo le cose, introducendo la visione per cui in Canada non ci sono solo francofoni o anglofoni, ma anche indiani, immigrati...
In seguito, la parola "multiculturalismo" è stata sempre più usata nel corso degli ultimi quindici anni, tanto che dagli anni Ottanta la sua utilizzazione è divenuta corrente in tutti i paesi, per cui si ha ragione di pensare ad una specie di importazione selvaggia di questa parola e del modo di pensare ad essa connesso. In genere, infatti, si prende una categoria, una nozione, una parola, nata in tutt’altro contesto, e si vorrebbe applicarla immediatamente alla propria realtà.
Detto questo, secondo me ci sono tre diversi livelli di analisi, che occorre distinguere ed articolare. Il primo problema, che concerne la sociologia in quanto tale, riguarda la natura delle differenze culturali che fanno di una società una società multiculturale e che ci obbligano a riflettere intorno al trattamento politico di queste differenze. Il secondo non concerne tanto la sociologia quanto la filosofia politica, dovendo rispondere alle domande: "In quale tipo di società noi vogliamo vivere?", "Quale formula sociale ci sembra la migliore, tenuto conto del fatto che esistono delle differenze culturali, o che possono esistere, tanto che noi possiamo osservarne lo sviluppo o il regresso secondo il tipo di sistema politico in auge?". Il terzo concerne piuttosto la scienza politica. Esistono in alcuni paesi delle istituzioni, dei sistemi politici, dei soggetti istituzionali che hanno adottato un principio di azione che possiamo definire "multiculturalista". In questo caso ci si può chiedere: "Perché hanno adottato questo principio e come funziona?". Tutte domande che riguardano da vicino la scienza politica. Quindi, sul tema del multiculturalismo si deve riflettere come sociologi, filosofi politici e scienziati politici allo stesso tempo, senza confondere i problemi e i livelli di analisi.
Per quanto riguarda il primo livello di analisi, quali realtà sociali autorizzano a parlare di differenze culturali?
Bisogna sottolineare che questo livello è molto differente da un paese all’altro. Credo che si possano distinguere almeno quattro logiche della differenza culturale. La prima logica corrisponde alle situazioni in cui un gruppo è costituito prima ancora che sia nata la società che si vuol prendere in esame: in Australia, per esempio, gli aborigeni erano lì prima ancora che la società australiana fosse costituita; in America gli indiani c’erano prima dell’arrivo dei bianchi. Questi gruppi umani sono stati quasi del tutto distrutti, talvolta dissolti nella società costituitasi in seguito, ma esistevano già da prima? La loro differenza culturale preesisteva alla società che si è formata in seguito.
La seconda logica corrisponde a tutti quei gruppi che si sono costituiti da molto tempo all’interno di una società, ma hanno corso il rischio di sparire quasi completamente per ragioni politiche, come la politica centralistica condotta dal governo del proprio paese, oppure per ragioni economiche, per effetto dell’economia di mercato che spesso assottiglia e dissolve i particolarismi culturali. Tuttavia questi gruppi hanno in parte resistito e ora chiedono di essere riconosciuti.
Penso, in questo caso, all’identità sarda in Italia o a quella còrsa, bretone o basca in Francia. Vecchie identità che sono sopravvissute alle trasformazioni geopolitiche ed economiche.
La terza logica è legata al tema dell’immigrazione di persone che vengono da fuori apportando la loro differenza. Qui bisogna essere molto prudenti perché spesso noi consideriamo che le dif ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!