Gianna Milano, giornalista, si occupa di informazione scientifica per Panorama e altre testate. Recentemente ha pubblicato presso la casa editrice Feltrinelli un libro-manuale Bioetica, dalla A alla Z.

I geni vengono sempre più spesso associati in modo deterministico ai comportamenti. Esisterebbe un destino biologico cui è difficile sottrarsi. Come se tutto fosse già scritto nei nostri geni…
C’è una frase del Nobel James Watson -scopritore nel 1953 con Francis Crick della struttura a doppia elica del Dna- che descrive perfettamente questo atteggiamento: "Eravamo soliti pensare che il nostro destino fosse scritto nelle stelle. Ora noi sappiamo che esso è in larga parte scritto nei nostri geni". Una prospettiva deterministica che vede influenzata, ossia "determinata", dai geni non solo la nostra salute (alludo alle malattie provocate da alterazioni di singoli geni) ma anche i tratti umani, considerandoli non modificabili dall’ambiente. Eppure ciò che i biologi molecolari vanno scoprendo non avvalora questo atteggiamento fatalistico. Esiste una importante interazione tra geni e ambiente. "I geni esprimono prodotti il cui funzionamento non è inciso nella pietra" ha scritto Jonathan Beckwith, genetista americano all’Università di Harvard. E per ambiente lui intende le condizioni prima ancora della nascita nell’ utero, poi le cure dei genitori, l’alimentazione, gli agenti ambientali, come sostanze inquinanti e radiazioni ultraviolette, la disponibilità di servizi sociali, la situazione psicologica famigliare e altro ancora. Le nuove tecnologie genetiche hanno invece incrementato la ricerca di geni associati o associabili a comportamenti umani, dalle anomalie alle attitudini. Mentre la validità di studi fatti in precedenza, che analizzavano la componente genetica di comportamenti umani partendo da ricerche su famiglie, fratelli gemelli e adottivi, era stata messa in dubbio, la stessa cosa non è avvenuta quando è stata fatta l’associazione con il Dna.
Sono usciti a catena studi e rapporti su geni per l’omosessualità, l’alcolismo, l’aggressività, la schizofrenia, la depressione maniacale, e, perfino, le difficoltà di apprendimento. La genetica dei comportamenti è un’area complessa di ricerca. Per ogni caratteristica di comportamento è difficile definire il fenotipo altrettanto precisamente di quanto si possa fare per una malattia fisica come la fibrosi cistica. Chi eredita un gene che predispone a un certo comportamento non è detto che poi lo manifesterà. Fattori ambientali possono facilitarne l’espressione, ma anche inibirla. Per esempio, una malattia mentale che abbia una componente genetica è più facile che si esprima in una situazione di stress.
Inoltre, come sottolineano molti ricercatori, sia nelle anomalie che nelle attitudini comportamentali possono essere coinvolti più geni. In alcuni casi (come depressione maniacale, schizofrenia e alcolismo) è capitato che i ricercatori stessi abbiano poi dovuto ritrattare le loro conclusioni. E’ il caso degli studi fatti negli Stati Uniti sulla popolazione Amish, che vive completamente isolata e separata dal mondo moderno, costituendo così un gruppo geneticamente "non contaminato", per scoprire se la depressione fosse di origine genetica. Ciò non significa che non ci possa essere una componente anche genetica per i comportamenti, ma non si possono trarre conclusioni affrettate.
Che cosa può avere spinto verso questa ottica deterministica? I ricercatori hanno forse esagerato nel riportare i loro risultati o c’è stata una eccessiva semplificazione da parte dei mezzi di comunicazione nel tradurre i loro dati scientifici?
Le spiegazioni di tipo genetico sollevano la società da ogni responsabilità nei confronti dei problemi che la affliggono. Perciò focalizzare l’attenzione sull’origine genetica di violenza, criminalità, e perfino disuguaglianze sociali, alleggerisce la coscienza e allontana da qualsiasi impegno di tipo sociale. Inoltre, se un comportamento come l’alcolismo è influenzato geneticamente, significa implicitamente che non dipende da una libera scelta. Il dibattito sui fattori biologici dell’omosessualità si fonda proprio su questo.
Due ricercatori, Michael Bailey e Richard Pillard, hanno pubblicato di recente studi su gemelli identici, monozigoti, in cui suggeriscono la componente genetica del comportamento omosessuale. E se l’omosessualità è una predestinazione genetica, volontà e libera scelta non contano ed essa deve essere considerata "natu ...[continua]

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