Emanuele Ottolenghi, lavora all’Israel Democracy Institute ed è dottorando all’Università di Gerusalemme.

Si parla molto del progressivo passaggio di Israele a una condizione di normalità. Oggi non è più un paese con una cultura omogenea, ma è diviso tra una destra nazionalista e una sinistra radicalmente antinazionalista…
Certamente, l’immagine che uno può avere dal di fuori è quella di un paese che lentamente si sta muovendo verso la normalità. Di sicuro, c’è nella società israeliana un grosso desiderio di normalità, che sta, secondo me, a fondamento del processo di pace: c’è infatti la volontà di avere una vita normale e di non fare più la vita dell’eroe che va in guerra.
Ti faccio un esempio: in queste settimane è in corso un grosso dibattito sul livello di maturità dei giovani che entrano nell’esercito e sul fatto che i valori principali del giovane-medio israeliano sono simili ai valori che troviamo in tanti altri paesi occidentali: studiare, viaggiare, poter avere una buona educazione e un buono standard di vita. In breve, è il desiderio di poter vivere nell’anonimato, in quella che potremmo chiamare l’aurea mediocritas che contraddistingue la vita dei paesi occidentali.
Si esprime così la stanchezza di essere sempre al centro dell’attenzione mondiale.
Da un altro lato, però, il paese non è ancora normale, non lo è mai stato, e il sistema politico è lungi dal raggiungere uno stato di normalità. Mi spiego: Israele è un paese che fin dalle sue origini è composto da diverse sottoculture che, per motivi storici e per le emergenze del momento, sono state costrette a vivere insieme, unite sostanzialmente dal pericolo esterno e dal mito dell’unità della nazione e del popolo ebraico.
Queste sottoculture sono giunte in Israele guidate da forti visioni ideologiche intorno al modo di ricreare lo Stato ebraico, di ristabilire la sovranità ebraica in Palestina, ecc. Il tutto nell’ambito di una visione messianica che coinvolgeva non solo la componente religiosa della società, ma anche le componenti laiche. E dico "messianica" non in senso religioso, ma nel senso della visione totalizzante di una società nuova e giusta che porta alla redenzione del popolo ebraico e del mondo, ovviamente in modi diversi.
Il mondo religioso ha interpretato e vissuto la nascita di Israele alla luce della tradizione e della Scrittura, mentre il mondo laico l’ha vissuta come esperienza socialista del popolo reietto e disperso nel mondo che torna alla terra e, attraverso il lavoro, costruisce una nuova società fondata su ideali di giustizia e libertà che si ricongiungano alla tradizione religiosa, per la quale Israele è la luce delle nazioni.
Queste due visioni, la prima fondata su valori particolaristici, la seconda su valori universali, sono sempre state ostili l’una all’altra, essendo l’una la negazione dell’altra. Per il laico, il religioso, che cerca di imporre i valori religiosi alla società israeliana, è colui che gli ruba il popolo d’Israele; lo stesso fa il religioso con il laico: il laico che vìola le leggi religiose ebraiche ruba al religioso il popolo d’Israele e ne ritarda la redenzione.
Questa tensione c’è sempre stata, ma per tanti anni non è venuta in superficie, in primo luogo per motivi di sicurezza -la minaccia esterna ha sempre fatto sì che le élites politiche cercassero dei meccanismi di accomodamento e di compromesso con l’establishment religioso per mantenere una base di consenso nella nazione- e, in secondo luogo, per il fatto che, con la nascita dello Stato, si è creato un sistema che ha evitato di affrontare tematiche costituzionali, come le libertà fondamentali dell’individuo, lasciando la maggior parte degli argomenti -che le altre democrazie hanno risolto nella costituzione- ad accordi tra laici e religiosi.
Adesso questa situazione è cambiata, il paese si è mosso, grazie a standard di vita, al benessere, ai contatti con l’estero, verso una società di tipo occidentale, basata su valori individualistici e sui diritti dell’individuo, della donna, delle minoranze, delle diversità culturali, sessuali e religiose…
C’è però un altro fattore molto importante: dal 1967 Israele ha il controllo dei territori occupati, che fanno parte della terra di Israele dal punto di vista biblico, tanto che per una parte molto importante dell’opinione religiosa la conquista di quei territori è stata un segno di Dio nel cammino verso la redenzione.
Pertanto, se da un lato la società ha un’attenzione maggiore p ...[continua]

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