Mino Martinazzoli, già segretario della Democrazia Cristiana, oggi è sindaco di Brescia.

La realtà economica e sociale in questi anni ha conosciuto cambiamenti forse epocali. Lei, in base alla propria esperienza di sindaco, come pensa si possa, se non governare, accompagnare tali cambiamenti?
Tanto per essere schietti: se paragono la mia realtà a quello che dice la legge 142, quando, immaginando che il Comune sia chissaché, spiega che è deputato allo sviluppo economico, culturale e sociale, le dirò che noi vediamo, almeno per quanto riguarda lo sviluppo economico, il lato certamente non costruttivo. La realtà quotidiana che incontro qui, i problemi su cui si concentra l’attività del consiglio comunale, sono ben distanti da una qualunque dimensione strategica. Qui l’incrocio più visibile con la realtà dell’attività economica, e non credo di banalizzare, è quello con il terziario commerciale. Per esempio, siamo alla vigilia dell’approvazione, fra tante incertezze perché cerchiamo di considerare con grande attenzione gli interessi in gioco, di una prima tranche del piano del traffico che comporta inevitabilmente una qualche riduzione del traffico nel centro della città. Questo, ovviamente, sta provocando uno scontro con i commercianti del centro. Brescia è una città alle prese con problemi strutturali, una città che nel centro storico ha 1500 negozi, ora assediati dagli ipermercati. E’ un settore economico molto importante, che ora, temo, è alla ricerca di nemici, magari inventati.
Siamo alla gestione delle crisi…
Esatto. In questo senso sono molto sensibile al tema, per me fondamentale, della destrutturazione della società. Sarei molto d’accordo con la legge 142 quando evoca, quali soggetti della forma normativa, non i comuni e le province, ma le comunità locali, perché qui, a mio avviso, pone l’accento su una questione fondamentale. Sta di fatto, però, che le comunità sono sempre di meno. Ecco perché resisto molto alla retorica dei sindaci. Quando sento colleghi che vanno in giro per l’Italia a descrivere la loro città come fosse la "Città del Sole", mi chiedo: se così fosse, perché la situazione complessiva del nostro Paese è una condizione di frustrazione, di diminuzione di fiducia?
La vita cittadina di una città come Brescia -e parlo di una città che, pur avendo dei problemi, li ha incalcolabilmente meno drammatici di tante altre città, una città che si presenta a livello di servizi pubblici con standard quantitativi e qualitativi notevoli- soffre ormai di separazioni e incomunicabilità sempre più rigide: il centro e la periferia, gli anziani e i giovani, i residenti e i non residenti. E badi che cose, anche molto importanti, se ne fanno: si è dato il via al terzo segmento di questo programma "Socrate" della Telecom per la cablatura della città; abbiamo sviluppato una linea di informatizzazione dei servizi che è all’avanguardia in Italia: in poche città si vedono i tabelloni che ti dicono quanti minuti dovrai aspettare prima che arrivi l’autobus; stiamo costruendo un grande termo-utilizzatore che sarà il più moderno del nostro Paese. Detto questo, però, si ha la sensazione di galleggiare sulla città, per cui qualsiasi iniziativa prendiamo, non sappiamo su quale livello di consenso ci potremo appoggiare. Tornando all’esempio banale del piano del traffico, noi siamo ugualmente invisi ai commercianti e ai verdi, andiamo avanti così, sperando di mantenere la nostra maggioranza. E questo è un primo aspetto. Per un altro aspetto, è amara la constatazione che non abbiamo interlocutori affidabili, perché con i sindacati, la Confcommercio, l’Associazione Industriali, la Confartigianato, abbiamo rapporti buoni, tanto da aver costituito una consulta economica sui grandi temi. Lì pare che siamo tutti d’accordo: "Va bene la metropolitana; va bene quell’altra cosa", ma quando si scende più in basso, si scopre che la Confcommercio non rappresenta un bel niente, perché ai commercianti, che stanno in una certa piazza o in una certa strada, non gliene importa niente dell’associazione e di quant’altro: loro si fanno il loro comitato. Allo stesso modo, la gente di un quartiere vicino al termo-utilizzatore, fa il comitato contro il termo-utilizzatore, e così via. Questo rende enormemente difficile costruire strategie, perché le strategie esigono una solidarietà. Questa è la grande crisi in cui ci dibattiamo. Così quello che registro è un’impressione di solitudine e di un enorme spreco di energia, anche per ge ...[continua]

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