Fiammetta Giugni, vive a Sondrio dove svolge la professione di veterinaria. Ha pubblicato un libro di racconti, La luna e l’aquilotto, per le edizioni L’officina del libro, Sondrio.

Scrivere è stata una maniera per farmi conoscere dagli altri, per mettermi allo scoperto. La cosa bella è stata che anche in contesti dove gli argomenti di conversazione sono riservati al lavoro oppure a banalità come il tempo, con la scusa di questo libro sono riuscita ad entrare in comunicazione con gli altri anche su cose che normalmente sono escluse dal dialogo; poter parlare dell’amore, dell’innamoramento, della sofferenza ti fa entrare in rapporto in maniera molto più profonda e più diretta. E’ come se tutti aspettassero una molla che faccia scattare... e tutti poi hanno da raccontare e da dire, hanno dei sentimenti che nella vita di tutti i giorni sono tenuti assolutamente in disparte, come se ci si vergognasse di avere una vita privata, degli affetti, dei sentimenti, dei pensieri che vanno al di là della pura quotidianità. Per me scrivere è assolutamente necessario, ma ho continuato a farlo rincuorata da questa cosa.
Mi piace pensare che mi sia servito l’aver osservato per anni le vacche, le nostre gloriose brune alpine, che stanno per essere soppiantate da altre, meno rustiche, che fanno più latte. Hanno questo bellissimo processo della ruminazione, per cui ingurgitano di tutto, a volte anche i sacchetti di plastica, perché mentre mangiano non masticano. E dopo c’è questo decantare, questo scioglimento dei cibi che tornano su e vengono rimasticati. Assomiglia un po’ a quello che faccio con le esperienze di vita e con la lettura; io leggo moltissimo, adesso comincio a seguire dei filoni perché il tempo è sempre più scarso, ma prima leggevo senza prendere appunti e senza fermarmi. Evidentemente quello che vale si decanta e torna sotto un’altra forma. La mia deformazione professionale consiste nell’aver acquisito questo processo: mando giù, poi, dopo, tutto ritorna amalgamato in un processo inconscio. E quando la ruminazione si blocca, la bovina comincia a star male, si irrigidisce, si agita...
Mi sono resa conto che la mia scrittura, anche se nasce da un contesto di tristezza, di delusione, alla fine lascia sempre aperti dei varchi di speranza. Non è mai disperazione; scrivendo, io arrivo sempre a qualcosa che mi fa guardare più in là. Alla fine di un mio scritto che raccoglie la mia esperienza di lavoro, ho messo una poesia di Turoldo: Ancora un’alba sul mondo... ancora qualcuno è nato: con occhi e mani, e sorride. Perché se mi si guarda superficialmente, sono una persona sempre arrabbiata col mondo, piuttosto delusa e critica, poi invece nella scrittura trovo questo respiro di speranza, qualcosa di bello per cui valga la pena andare avanti. Quindi, anche se l’invito a scrivere mi viene più facilmente da momenti di sconforto che non da quelli di euforia, in realtà sempre più scarsi, alla fine ne esco con un nuovo vigore per affrontare la vita. Così mi sono resa conto che non sono io che scrivo ma è la parola che mi porta.
In genere, quando mi metto a scrivere, ho dentro tutta una serie di pensieri e sentimenti, ma non parto mai con idee preordinate dicendo: "Questa sera voglio parlare di questo", lascio che il mio atteggiamento sia disponibile a questo esser portata dalla parola. E’ un processo bellissimo e quando avviene io mi sento in uno stato di grazia, quasi magico. La scrittura ti precede, anche nella vita...

Avrei voluto iscrivermi a Psicologia, però ai miei tempi la facoltà era a Padova e ciò comportava maggiori costi per una famiglia come la mia, dove le idee non corrispondevano mai alle possibilità economiche per realizzarle. Allora, all’ultimo momento ho pensato a Veterinaria, perché la vita dei contadini mi aveva sempre affascinato. Forse, devo dire, questa vita l’avevo anche un po’ mitizzata. La facoltà in sé è stata un’esperienza bellissima, uscivo da questo ambiente per andare a Milano, un salto di qualità, un’apertura di vedute e di scambi. Contemporaneamente la facoltà era molto piccola per cui ci si conosceva quasi tutti; inoltre, alla fine degli anni ’70 c’erano ancora rigurgiti di contestazione. Diversamente da molti altri che scelgono Veterinaria perché hanno un amore sviscerato per gli animali, per me era una scelta legata alla terra e all’amore per il mondo contadino, per la zootecnia intesa come mondo produttivo. A differenza di quello che ci si aspettava da noi, come donne, io ...[continua]

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