Maman Ide, originario del Niger, oggi vive a Mantova.

Il mio viaggio è iniziato nel 2005. Ero studente di scienze politiche in Niger e a capo di un’organizzazione universitaria; discutevamo della democrazia, dei nostri diritti, ero critico e alla fine ho capito che dovevo andare via.
Non sono andato direttamente in Libia, sono passato per l’Algeria e poi ho attraversato il deserto e le montagne. Sono stato quasi quaranta giorni nel deserto tra il Niger, l’Algeria e la Libia.
Siamo partiti da Arlit, in Niger, con una macchina. Eravamo in 37 persone. A metà del deserto la macchina si è rotta. Ho detto: "Io mi incammino, non voglio morire qui”. Alcuni hanno detto: "No, noi stiamo qua”. Io e altri ragazzi ci siamo mossi a piedi. Io conoscevo bene le stelle: guardando il cielo sapevo orientarmi; me l’aveva insegnato mio padre. Certo era dura e comunque di giorno non avevi punti d’orientamento, quindi noi camminavamo molto durante la notte guardando le stelle e di giorno cercavamo di orientarci con la sabbia, ma non era facile. Un amico è morto durante il viaggio per la fatica. Eravamo in sette. Dopo qualche giorno un altro amico non ce la faceva più. Mi ha detto: "Guarda, Maman, questo è il mio numero. Quando arrivi in Algeria chiama mio padre e digli che sono morto nel deserto”. Nessuno di noi era sicuro di arrivare. A due giorni di cammino da dove avevamo lasciato questo mio amico, continuavo a pensarci: non potevo immaginare di arrivare in Algeria e chiamare suo padre per dirgli che lui era morto, era troppo. Così sono tornato indietro. Ho detto agli altri: "Aspettatemi qui. Devo tornare a prendere il mio amico. Non posso lasciarlo lì nel deserto”. Mi sono detto: se lo trovo morto, basta, se è ancora vivo lo prendo con me. L’ho trovato ancora vivo. Il suo corpo era cambiato, era quasi irriconoscibile, me lo sono caricato sulla schiena e sono tornato dai miei amici. Ero esausto. Ci siamo riposati un po’ perché proprio non ce la facevamo più. Dopodiché siamo ripartiti e siamo arrivati in Algeria. A quel punto però il mio amico non ha voluto proseguire per la Libia. Era allo stremo. Tra Algeria e Libia ci sono le montagne, non è come tra il Niger e l’Algeria. Lui mi ha detto: "Guarda Maman, ti ringrazio molto per avermi salvato la vita, ma io mi fermo qui”. Così è rimasto in Algeria. Ci siamo separati.
In seguito, mentre ero in Libia, ho conosciuto una persona che veniva dallo stesso paese dell’amico che avevo aiutato. Così quando è tornato a casa gli ha dato il mio numero e ci siamo sentiti: si è sposato, ha due bambini, un maschio e una femmina, ed tornato in Niger.
Dall’Algeria abbiamo preso una guida per arrivare in Libia, che ci ha lasciato nel deserto ed è tornata indietro. Mi piacerebbe fare un documentario su questo viaggio. Avevo fatto tante foto con una piccola macchina fotografica. Quando sono arrivato in Libia, ho tolto la memory card e l’avevo messa nel cellulare. Purtroppo mi hanno rubato il telefono proprio qui in Italia. Mi è dispiaciuto tanto, non per il telefono, ma proprio per le foto.

Quando sono arrivato in Libia non conoscevo nessuno. In Libia sono rimasto quasi tre anni. Ho subito trovato lavoro: facevo l’imbianchino. Il lavoro non mancava, ma dal punto di vista dei diritti umani, i libici sono i più indietro di tutti; la vita era veramente difficile; ho visto tante cose brutte. Sono stato anche in prigione, ma non voglio raccontare quello che ho visto, quello che è successo a me e ai miei amici...
Quando è scoppiata la guerra, dei ragazzi sono venuti a casa mia; io ero da solo, ci sono stati dei tafferugli, mi hanno rubato tutto quello che avevo e mi hanno rotto una mano; io non ho reagito perché loro erano in quattro. In Libia all’epoca c’erano tante nazionalità; alcuni sono tornati nei loro paesi d’origine; altri sono venuti in Europa, in Italia; tanti sono morti in mare.

Io ho lasciato la Libia nell’agosto del 2011. Dopo che quei ragazzi erano venuti a casa mia, rubandomi tutto e ferendomi, ho chiamato un amico, gli ho spiegato il problema e lui mi ha detto di non andare in ospedale, ma di partire per la Tunisia e da là tornare al mio paese. Mi ha pagato il barcone e mi ha portato alla spiaggia dove ci si imbarcava. Siamo rimasti nella spiaggia libica per due giorni e finalmente ci siamo imbarcati. Dovevamo andare in Tunisia ma dopo due giorni di viaggio non eravamo ancora arrivati. Io sapevo che la Tunisia era vicina. Tra l’altro la mano mi faceva molto ma ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!