Caterina Brau, insegnante in pensione, è una delle vittime dell’attentato di Fiumicino del 27 dicembre del 1985. Vive a Sassari.

Io sono stata l’ultima a capire cosa fosse successo. D’altra parte mi sono trovata a osservare l’evento da una posizione sdraiata... ero distesa a terra, ferita.
Eravamo a Fiumicino. Ero sposata con il mio primo marito e dopo aver preso un caffè stavamo tornando indietro per fare il check in. Il bar era proprio di fronte alle uscite delle compagnie di bandiera israeliana e americana. Dovevamo partire per Barcellona.
Improvvisamente hanno cominciato a sparare. Sul momento ho pensato: "Ma guarda questi scemi con i soliti mortaretti”. In realtà non erano mortaretti. Mio marito, che invece aveva capito, si è immediatamente gettato a terra e mi ha tirato, ma io ero così... la "vispa Teresa”! Insomma, ho avuto quell’attimo di esitazione che poi ha fatto sì che venissi colpita.
Quando mi sono svegliata -avevo battuto la testa piuttosto forte ed ero svenuta- ho subito sentito un senso di forte pesantezza alle gambe. A quel punto ho visto un signore che dai piani alti dell’aeroporto puntava una pistola contro qualcuno o qualcosa...
Il terrorista, l’unico sopravvissuto, questo ragazzo, me l’hanno arrestato lì vicino, mi ricordo il viso. Io ero molto spaventata perché non capivo se la faccenda fosse chiusa o meno.
Questo è il mio ricordo dell’evento, poi c’è stato l’ospedale e tutto il resto, ma questa è un’altra storia.

Ho perso la gamba sinistra. Ero stata colpita da un proiettile di rimbalzo o da una scheggia di bomba. Forse una pallottola dum dum, perché c’erano un sacco di schegge. In realtà mi hanno colpito due pallottole, una è passata senza incontrare la resistenza dell’osso, meno male, l’altra invece, a contatto con l’osso, l’ha praticamente disintegrato.
Sono entrata in ospedale il 27 dicembre e sono uscita poco prima di Pasqua. La Pasqua quell’anno cadeva ai primi di aprile se non mi sbaglio, era l’86 poco prima di Chernobyl. Dopodiché ho fatto tre mesi a casa e poi sono stata di nuovo ricoverata per l’intervento definitivo e la riabilitazione. Sono tornata al lavoro a novembre, con una protesi.
Mi hanno seguita all’Officina di Vigorso di Budrio, che è la migliore in assoluto. Lì l’intero territorio si è specializzato: la maggior parte degli operai opera nel campo delle protesi. In quel centro ho avuto modo di vivere in mezzo ad altre persone che avevano avuto i miei stessi problemi e anche di ridimensionare i miei. Tutto sommato mi era andata bene.

Il ritorno alla vita normale? Mah, in realtà non è stato più come prima.
Ma in fondo nella vita delle persone capita sempre un evento che segna un prima e un dopo, una malattia, la nascita di un figlio, la morte di una persona cara... uno qualsiasi di questi eventi fa in modo che niente sia più come prima.
Prima camminavo molto, ero un tipo abbastanza sportivo, andavo in bici, correvo... Non ho più potuto, però la vita è andata avanti, certo con delle limitazioni. Ma, cosa vuoi, una volta che rischi di morire, poi sì, ti dispiace non fare certe cose, però tutto sommato non è che sia una cosa così terribile.

All’epoca non c’era niente per le vittime di questo tipo di eventi. Io poi, essendo non-credente da sempre, non c’avevo neanche un sacerdote. Ho avuto l’appoggio dei miei genitori, di mio marito e anche degli amici, che sono stati molto importanti. E poi la gente, ho ricevuto tante attestazioni d’affetto. Dalle istituzioni invece niente. In Italia ancora non erano previsti risarcimenti per le vittime del terrorismo.
Poi arrivò una legge che prevedeva un primo risarcimento di un paio di milioni di lire a punto percentuale di invalidità. A questa seguì un’altra legge, adesso non ricordo le date, che ci assegnava un vitalizio di 250 mila lire, poi aumentato a 500.
La grossa svolta è arrivata dopo gli attentati di Nassirya del 2004: è stato aumentato il risarcimento, il vitalizio, in più hanno previsto che potessimo andare in pensione con dieci anni di anticipo. Il risarcimento comunque è venuto molto dopo. Questa cosa mi era capitata nel 1985, il primo risarcimento l’ho avuto nel ‘92.

Alla fine ti abitui, non so come dire, non è neanche che ti abitui... Quando vivi un’esperienza del genere ti dici: "Cavolo, ci potevo restare”, e quindi cominci a pensare che forse non è il caso di piangersi troppo addosso, c’è gente che è morta. Tredici persone sono morte; altre hanno avuto ferite più gravi della ...[continua]

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