Benoit Challand è Visiting Professor alla New School for Social Research di New York, dove tiene corsi sull’Europa e il Medio Oriente. Ha pubblicato, tra l’altro, Palestinian Civil Society: Foreign Donors and the Power to Promote and Exclude (Routledge 2009).

Nel 2011 era sorta la speranza che la Primavera fosse arrivata anche in Medio Oriente. Qual è oggi la situazione di questa regione?

La prima considerazione è che le dinamiche regionali si sono un po’ arenate e adesso ciascun paese deve trovare risposte alle istanze più urgenti a livello domestico. La magia della cosiddetta primavera araba ha perso la sua forza.
L’attenzione internazionale è ora concentrata sulla Siria. Qui mi preme sottolineare che quella siriana è una rivolta popolare e non, come si vorrebbe far credere, una ribellione guidata dall’esterno, dunque non autentica. Sono ormai 15 mesi che ci sono manifestazioni in varie località e proprio questa tenacia dimostra che il popolo siriano vuole con tutte le sue forze un cambio di regime.
Ovviamente poi ci sono tutti gli intrecci regionali, il sostegno dell’Iran, della Russia e della Cina, per cui sarà difficile uscire da questa situazione. Un intervento militare è poco probabile perché mancano le condizioni del necessario consenso. Esistono altre vie, soprattutto diplomatiche, che vanno sperimentate, facendo pressione non solo sulla Siria ma anche sulla Russia e la Cina. Io comunque penso che sul lungo termine prevarrà la volontà del popolo. Certo potrebbero volerci ancora un paio d’anni o più, ma questo regime non può continuare ancora a lungo. Mi auguro che sia esso stesso a prendere l’iniziativa di fare un passo indietro e aprire un processo di transizione. Sarebbe l’ipotesi più augurabile. Diversamente si può immaginare uno scenario segnato da una sorta di usura che può durare mesi, ma anche anni.
La transizione, comunque, necessita che Assad se ne vada, e non solo lui. Come stiamo vedendo in Yemen, se se ne va soltanto il dittatore non cambia niente o cambia poco. Nel nuovo governo i personaggi al potere sono figure vicine all’ex presidente o suoi parenti.
Se non altro però laggiù c’è un dialogo nazionale; c’è un meccanismo di partecipazione delle forze di opposizione, i vari segmenti sociali, giovani e donne, avranno finalmente una voce ufficiale. Insomma, in Yemen qualcosa si è messo in moto, ma il cambiamento del presidente, quello non è stato niente. Così in Siria non basta la partenza di Assad. Ci vuole di più.
Da quando è iniziata la primavera araba la Palestina è un po’ scomparsa dalle scene...
Devo dire che alcuni intellettuali palestinesi e anche molti studiosi occidentali ritenevano questa una buona notizia.
La Palestina è stata sempre una scusa per non affrontare tutta una serie di nodi critici. C’era sempre questo ritornello: "Ah, no c’è la Palestina, c’è Israele, c’è l’occupazione”.
Da questo punto di vista "liberare” la regione dall’alibi del conflitto israelo-palestinese ha rappresentato un’opportunità, perché alcuni paesi hanno iniziato a guardare al proprio interno. Finalmente i singoli paesi potevano cominciare ad affrontare i loro problemi. Non solo, con la fine delle dittature si poteva cominciare a pensare a una collaborazione democratica, a una soluzione regionale del conflitto israelo-arabo (non soltanto israelo-palestinese).
Da questo punto di vista, nei primi mesi del 2011, si era aperta proprio una "finestra di opportunità”. Purtroppo Israele non ha mai investito seriamente in queste rivolte, e anzi ha subito giocato la carta della minaccia islamista. Come dice un collega italiano, ha messo in atto la "mentalità del bunker”; una carta che continua a giocare con la minaccia dell’Iran.
Quindi, per tornare alla domanda, che la Palestina sia scomparsa dalla scena ha rappresentato un’opportunità all’inizio. Purtroppo ora le cose sono cambiate. La leadership palestinese, sia Hamas che Fatah, ha disatteso le riforme promesse: del processo di riconciliazione (del famoso accordo dell’aprile 2011 firmato il 4 maggio) non c’è ancora niente di sostanziale. Il popolo palestinese ancora una volta è stato tradito dalla sua leadership.
Data questa nuova situazione non va bene che il "dossier Palestina” sia scomparso. Ci vorrebbe una maggiore vigilanza.
I palestinesi a settembre hanno utilizzato quest’arma della dichiarazione unilaterale dello stato. Hanno ottenuto un po’ di pubblicità, ma Israele è subito riuscito a spostare la questione sotto il t ...[continua]

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