Stephen Bronner è senior editor di Logos, giornale online (www.logosjournal.com). Insegna Scienze Politiche alla Rutgers University del New Jersey.

Con la salita al potere di Bashar al-Assad, dodici anni fa, la comunità internazionale si era illusa che la Siria potesse intraprendere una strada nuova...
Nel 2005, ho passato circa due ore in compagnia del Presidente Assad, e poi circa un’altra ora con sua moglie, Asma, come parte della delegazione sostenuta da US Academics for Peace che includeva James Jennings, presidente di Conscience International, Lawrence Davidson, Bianca Jagger e numerosi altri attivisti. Un resoconto di quell’incontro è apparso su Peace out of Reach: Middle Eastern Travels and the Search for Reconciliation (2007). Trovai Assad freddo e non amichevole nei suoi atteggiamenti, ma intelligente, eloquente ed eccezionalmente ben informato. Lo ritenevo all’epoca un autoritario con sensibilità riformiste. Parlò vagamente di una transizione verso la democrazia, ma non presi le sue parole molto seriamente. La maggior parte dei politici cerca di rimanere al potere il più a lungo possibile. Specialmente i dittatori.
È vero, all’inizio la maggior parte degli esperti nei mass media fece pensare che Bashar al-Assad fosse fatto di una stoffa diversa da quella del padre. Hafiz al-Assad era volgare nei comportamenti e provinciale nello stile. In occidente, molti lo consideravano poco più di una crudele marionetta sovietica. Quando morì, nel 2000, Hafiz era considerato quasi una reliquia.
Le speranze si accrebbero quando Bashar gli succedette. Era stato educato in Inghilterra, aveva studiato oftalmologia e -lo si dava per certo- aveva interiorizzato elementi dello spirito liberale. La sua bella e colta moglie, Asma (la cui famiglia viene da Homs), aveva studiato anch’essa finanza in Inghilterra. Entrambi apparivano acculturati e intellettuali. Erano anche fotogenici -una versione medio-orientale di John e Jackie Kennedy. Molti poi credevano che Bashar non nutrisse ambizioni politiche. Poteva anche aver fatto carriera nei militari e giocato un ruolo nell’invasione siriana del Libano nel 1998. Ma non era inizialmente prevista per lui una carriera politica e arrivò sulla scena solo dopo la morte di suo fratello in un incidente.
Ci si attendeva indubbiamente da parte sua un comportamento più "civilizzato” -di qui il disorientamento e le critiche in seguito alle atrocità di Homs, Idlib e altrove. Il fatto è che Bashar faceva sempre parte della famiglia al potere, dei militari e della comunità alawita. Era perfettamente integrato nella struttura di potere. I suoi tentativi di modernizzazione della Siria lo chiamavano a confrontarsi con le lealtà e i conflitti derivati da istituzioni e tradizioni pre-capitaliste e sub-nazionali associate ai clan, alle tribù e alla religione. Navigare in queste acque è certamente difficile. Inoltre, in ultima analisi, il progresso economico e sociale richiedono precisamente quel tipo di società aperta e di politica democratica che i regimi autoritari temono.
Pensi che Bashar al-Assad abbia comunque provato a portare cambiamenti significativi in Siria?
Quando ero in Siria sembrava che molti sforzi fossero stati compiuti nel campo dell’educazione e, almeno nelle città, la vita quotidiana mostrava un certo pluralismo, se non politico, culturale: era possibile vedere, per esempio, donne in abiti religiosi tradizionali e altre in minigonna sedute allo stesso caffè.
Bashar al-Assad e sua moglie avevano manifestato il desiderio di accrescere il numero di computer e il livello di alfabetizzazione informatica. Parlavano di privatizzare le banche e anche le altre industrie. Esprimevano persino la volontà di migliorare il sistema sanitario e la condizione della donna.
La verità è che liberalizzare l’economia e la società ha sempre implicazioni politiche anti-autoritarie e quando queste divengono troppo minacciose, il dittatore si ritrae.
Bashar al-Assad ha introdotto una nuova Costituzione ed esiste un parlamento, ma una democrazia significativa presuppone elezioni, libere assemblee, libertà di parola, diritti civili ecc. Tutto ciò riduce l’esercizio arbitrario del potere politico, che è invece ciò che definisce un dittatore. Mantenere il potere è dunque essenziale, a qualunque costo. Il determinismo economico semplicemente in Siria non poteva funzionare perché i regimi dittatoriali allevano e alimentano una cultura della corruzione e dell’inefficienza. La gerarchia ...[continua]

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