Christian Grassi, 34 anni, ravennate, e Nerio Cassani, 55 anni, imolese, sono responsabili dell’Associazione Poderi di Romagna che ha come finalità la commercializzazione dei prodotti dei contadini associati ma anche la realizzazione di progetti culturali e iniziative sui temi della decrescita e dell’agricoltura sostenibile.

Com’è maturata la scelta di diventare contadini?
Christian. Ho sempre avuto la passione della terra. Mia nonna era contadina e da bambino andavo sempre da lei in campagna. A quei tempi le erano rimasti 6.000 metri di terra, era il pezzo di terra che ha cullato la mia famiglia; eravamo una specie di clan all’epoca: quattro nonni, la zia, i miei genitori... Facevamo la carne, le uova; il mio babbo andava a pesca d’acqua dolce, lo zio di mia mamma pescava in mare, avevamo il vino, l’aceto ce lo facevamo in casa, il maiale si scannava lì, nella corte...
Penso di essere uno dei pochi della mia generazione ad aver vissuto personalmente l’autosufficienza, la cosiddetta decrescita, anche se allora non si chiamava così.
Crescendo ho assistito all’urbanizzazione che avanzava e inglobava la campagna e mi è sempre rimasta l’idea di ritornare. Anche se in un certo senso avevo continuato a lavorare in campagna, facendo il tecnico, l’ispettore delle produzioni bio.
Proprio svolgendo il mio lavoro ho incontrato un’azienda che stava mettendo in campo un progetto particolare, che coincideva con le mie idee. Così ho lasciato il mio impiego e abbiamo costituito un’azienda agricola.
Sono due anni che portiamo avanti questo progetto. Lo stipendio non ce lo siamo ancora dati, per adesso vivo della piccola rendita che ho accumulato nei dieci anni precedenti.
Quest’anno, malgrado l’annata disastrosa, economicamente è andata meglio dell’anno scorso, un po’ di soldi ce li siamo portati a casa, gli investimenti iniziali li abbiamo recuperati tutti; con i tempi e le rese dell’agricoltura è già un buon risultato.
Bisogna aver pazienza. Per scelta abbiamo rifiutato i contributi regionali. I Programmi di sviluppo rurale, i Psr, non li vogliamo: ho visto come li danno, ho visto cosa fanno, come vengono massacrate le aziende.
Nerio. Io ho sempre fatto questo mestiere; nella mia famiglia sono contadini da generazioni.
Già a cinque anni la mattina presto andavo in campagna. I miei facevano frutticoltura. All’epoca erano ancora mezzadri. Io come scuola superiore avevo scelto lo scientifico, ma poi me ne pentii perché nel frattempo avevano comperato il podere e mi sarebbe piaciuto aver fatto agraria. Comunque ho continuato e ho fatto l’università anche se è stata dura perché mi piaceva il lavoro in campagna e il tempo per studiare era sempre poco.
Ho iniziato l’università nel ’75 e l’ho finita nell’’87. Dopodiché ho deciso di rimanere qui, lo spazio c’era e pensavo di poter dare una mia impronta al podere.
Invece sono cominciati i problemi perché, come in tutte le famiglie di una volta, c’era l’azdor, il reggitore, il capofamiglia che, dopo mio nonno, era diventato mio zio, il figlio maggiore.
Per mio zio, a quel punto, ero diventato un rivale, perché rimanendo qui stavo un po’ prendendo in mano la situazione operando delle trasformazioni, mentre lui andava verso un’età in cui poteva solo smettere, tanto più che il figlio era ragioniere e lavorava altrove. Così, dopo tre, quattro anni si è deciso di dividere l’azienda che era di oltre undici ettari.
Mio padre ha continuato con la stalla e ci sono stati una dozzina d’anni bellissimi, sembrava una fazenda… Ho cominciato a fare il biologico anche perché mi ricordavo bene come facevano i trattamenti, tiravano i tubi con le mani nude... Dopo ho avuto delle sfortune, sono cominciati i problemi di salute di mia mamma, che alla fine è morta. Mia mamma è morta di tumore al fegato, l’ho persa in venti giorni. Era una donna straordinaria che era stata molto vicina a mio padre nel momento della rottura. È sempre stata lei quella che tirava; morta la mamma, il babbo se n’è andato anche lui.
Così alla fine ti sei trovato in azienda da solo...
Nerio. Sì, allora ho cominciato a ricorrere a manodopera straniera, purtroppo. Dico purtroppo perché avrei preferito condividere la scelta con qualcuno, come ha fatto Christian con Antonella che hanno messo insieme i capitali. Mi sarebbe piaciuto trovare una persona che insieme a me avesse portato avanti un progetto. Ho un figlio, ma sta studiando, e soprattutto ha altri interessi. Io sognavo che facesse il mio mestie ...[continua]

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