Ferruccio Pastore è Direttore del Forum Internazionale di Ricerche sull’Immigrazione (www.fieri.it).

Con lo scoppio del conflitto in Libia, finora a fuggire non sono stati i cittadini libici, se non in misura limitata, ma gli stranieri. Non solo, per ora il vero esodo è avvenuto su direttrici sud-sud, cioè all'interno dell'Africa.
Secondo i dati dell’Alto Commissariato per i Rifugiati, al 23 marzo, le persone fuggite dalla violenza in Libia erano 351.673. Le prime destinazioni di questa fuga di massa sono stati i due Paesi costieri limitrofi: 178.263 profughi si sono diretti in Tunisia (tra loro, solo 19.283 i tunisini e 21.877 i libici), mentre 147.293 migranti forzati hanno valicato la frontiera egiziana (tra questi, 77.237 egiziani e 27.161 libici).
Parliamo insomma di migrazioni intra-africane. La Libia è da decenni un grande Paese di immigrazione, uno dei massimi poli di attrazione del continente africano. Noi pensiamo sempre all’Africa come terra di emigrazione, ma in realtà questo continente è stato storicamente uno spazio di mobilità interna anche piuttosto vivace. In particolare nell’Africa occidentale c’erano flussi importanti che dall’entroterra (mi riferisco in particolare ai Paesi della fascia del Sahel, soggetti a siccità periodica) si muovevano in direzione della costa, dove le opportunità economiche erano maggiori. Questo già in epoca moderna e precoloniale e poi coloniale. Nell’era postcoloniale anche paesi come la Costa d’Avorio, il Senegal, il Togo, la Nigeria, erano diventati destinatari di flussi migratori.
Dopo una fase di post-indipendenza caratterizzata da una relativa stabilità politica (spesso garantita da regime forti), proprio la fascia costiera assiste allo sgretolarsi di una serie di equilibri. Penso alla Liberia o alla Costa d’Avorio, dove la crisi attuale è la recrudescenza di una situazione da tempo compromessa. La stessa Nigeria -uno Stato pachiderma che solo per miracolo riesce a non esplodere- perde capacità di attrazione, sia economica che migratoria.
Quindi nel corso degli anni ’80 e ’90 tutta una serie di sbocchi tradizionali si chiudono o si riducono fortemente. Questo avviene in concomitanza con importanti cambiamenti in Nordafrica, dove alcuni paesi, pur con difficoltà e lentezza, seguono un percorso di crescente prosperità come il Marocco, la Tunisia e, seppur con alcune specificità, la Libia.
La Libia è un po’ al centro di questa dinamica di saldatura tra i sistemi migratori africani e quello europeo.
Come il Marocco e la Tunisia, anche la Libia assiste negli stessi anni a un arricchimento, legato nel suo caso alle risorse petrolifere.
Il regime libico però ha una sua evoluzione specifica: avendo scelto di mettersi in rotta di collisione con l’Occidente, viene sottoposto a un ostracismo unanime senza peraltro essere sorretto -come avrebbe sperato- dai "compagni” arabi. Gheddafi nel corso degli anni ’90 si lancia allora nell’avventura politica pan-africanista, proponendosi -forte di un portafoglio bello rigonfio- come leader di un movimento di riunificazione africana. Viene così eletto Presidente dell’unione degli Stati africani.
In questa fase si assiste a un riorientamento del sistema migratorio libico. La Libia era già un grande Paese di immigrazione, ma attingeva per lo più ai paesi vicini, in primis l’Egitto. Ora il Paese si apre all’immigrazione dall’Africa sub-sahariana, peraltro con grande clamore retorico e procami rivolti ai "fratelli africani” a venire in Libia.
C’è da dire che una mobilità trans-sahariana, sia di tipo carovaniero commerciale che di tipo migratorio esisteva da prima. In particolare dal Nord del Niger c’erano dei flussi stagionali (ma anche pluriennali) verso le oasi del sud della Libia. Questa ancora oggi è quasi una linea regolare tra le due "rive” del Sahara: nel senso che si compra un biglietto ad Agades, nel Nord del Niger, per salire su un camion e raggiungere Sebah, nel sud della Libia. Certo, un viaggio che richiede alcuni giorni e una certa robustezza fisica.
Ecco, su questa mobilità a medio raggio, diciamo così, si innesta poi una mobilità a più lungo raggio. Cioè il Niger e il Chad diventano dei corridoi per quelle centinaia di migliaia di lavoratori che -rispondendo all’appello- partono perlopiù dall’Africa occidentale, Ghana, Nigeria, ecc. e vanno a lavorare nelle famiglie, nelle fattorie e negli impianti libici.
È in questi anni che la Libia si appresta a diventare un grande Paese di immigrazi ...[continua]

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