Pierre Pachet, scrittore, filosofo e docente universitario, amico personale di Claude Lefort, vive a Parigi.

Come ha conosciuto Claude Lefort?
Quando ero ragazzo ed ero ancora al liceo conobbi il testo di Sartre Lettre à Claude Lefort. Era un attacco molto violento, e all’epoca lo trovai molto forte, molto convincente, di una potenza intellettuale straordinaria. Ma in realtà l’impressione che mi rimase in modo duraturo è che qualcuno aveva saputo resistere a Sartre. E se teniamo presente che all’epoca Lefort aveva 22 anni, era qualcosa di straordinario. Anni dopo, quando ero già studente universitario, ho conosciuto Socialisme ou Barbarie, che era il gruppo in cui Lefort militava con Cornelius Castoriadis e li trovavo interessanti e originali, non conformisti. Infine, più tardi, ci incontrammo personalmente, tramite un amico comune: Lefort aveva letto uno dei libri che avevo scritto, io avevo letto un resoconto dei corsi che teneva all’università di Caen perché Marcel Gauchet, che era un suo studente, li aveva trascritti. Progressivamente diventammo amici. E’ stato un percorso lungo. In particolare abbiamo lavorato insieme alla rivista Passé Présent. Voilà, l’amicizia è una cosa strana: eravamo sicuramente d’accordo su molte cose importanti e allo stesso tempo abbiamo sempre avuto degli stili di vita agli antipodi. Avevamo personalità incompatibili. Ma l’amicizia a volte si fonda proprio su cose come queste.
Che tipo di incompatibilità?
Ci sarebbero molte cose da dire. Ne dirò due: la forza di Lefort risiedeva nel fatto che, quando rifletteva su una questione o su un’idea, continuava a farlo finché non arrivava a una formulazione che lo soddisfacesse. Ecco, questa sua forza era ciò che ammiravo più di tutto in lui. Anche perché io sono completamente diverso, mi interesso a tante cose e cambio spesso centro di attenzione.
Ma lo stesso si potrebbe dire per lo stile di vita. Lefort aveva una maniera estremamente monogama di pensare alla vita. Parliamo di un uomo che è stato sposato sessant’anni con la stessa donna. Io sono più vagabondo e, soprattutto negli ultimi anni, ho avuto un modo, diciamo, poligamo, di vedere la vita. Questa è una cosa che Lefort disapprovava molto ed è stato motivo di scontro tra di noi. Una volta mi disse: "Non capisco come tu possa ancora meravigliarti di fronte a così tante donne”. Ma era anche un modo per scherzare.
Lei su Le Temps Present ha scritto che la centralità del pensiero di Lefort risiede nel suo "rifiuto di servire”...
Sì, anche se è difficile dire "rifiuto di servire” perché nessuno può dire di possedere la libertà di pensiero. Non abbiamo mai questa libertà. Bisogna sempre dubitare di se stessi perché la libertà di pensiero non deve esercitarsi soltanto verso una convenzione, ma anche verso una moda, verso i pensieri forti di un’epoca, verso la seduzione delle idee.
In Francia ci sono stati dei pensieri, e dei pensatori, molto forti. Se solo pensiamo alla vita di Lefort, da quando aveva vent’anni fino ai quarantacinque c’era il marxismo, in particolare il marxismo nella forma stalinista, e poi ci fu il trotzkismo, che, pure, era un’ortodossia. Lefort non è mai stato del Partito comunista ma è stato, per un periodo, trotzkista: si trattava di un pensiero molto forte, che dava una spiegazione della storia sovietica molto affascinante. Ma anche in questo caso Lefort si ribellò...
Poi c’era il pensiero di Sartre, anche questo molto forte. Molto più tardi sono arrivate le diverse forme di pensiero strutturale: Levi-Strauss per esempio, Foucault, Derrida... Ogni volta, quello che ho amato in Lefort è che, anche se si trovava di fronte a un pensiero seducente, cercava sempre di continuare la sua riflessione in modo indipendente e individuale. Un esempio per me molto significativo riguarda il suo legame con Merleau-Ponty, che, come si sa, è stato il suo professore al liceo. Anche lui aveva una personalità forte, anche se meno di Sartre. D’altra parte Sartre amava il successo, amava avere un’influenza, che di fatto ebbe, in Francia e non solo. Merleau-Ponty aveva comunque un peso, era lui che dirigeva Les Temps Modernes. Ebbene, anche nei confronti di Merleau-Ponty, che era il suo maestro, qualcuno, cioè, che lo affascinava, Lefort marcò la sua differenza. Per esempio, nei confronti dell’Unione Sovietica, Merleau-Ponty era molto più esitante, più indulgente, ma diede al giovane Claude Lefort la possibilità di sc ...[continua]

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