Marco Maiello, già responsabile del Centro studi del Consorzio nazionale Cgm (Consorzio Gino Mattarelli), è tra i fondatori e promotori di Welfare Italia.

Che cos’è Welfare Italia?
Partirei dal nome, "Welfare Italia”, appunto, a cui sono abbastanza legato. Gli amici che ci aiutano nella comunicazione ci hanno detto che non era un bel nome, perché tutti pensano al Ministero del Welfare. Io, un po’ per età, un po’ per formazione e storia, quando penso al welfare state penso a uno dei grandi contributi della civiltà europea. La parola welfare per me significa che la lotta contro l’insicurezza è una sfida collettiva, non individuale e che nessuno quindi deve essere lasciato solo in questa partita. Un’idea molto forte, che forse si è svilita, ma che ci sta particolarmente a cuore. E poi "Italia”, non centro-nord, non Lombardia, cioè un’idea molto marcata di politiche nazionali, se non europee, e però fondate localmente. Non vogliamo cancellare nulla dell’ampio dibattito sulle comunità locali portato avanti in tutti questi anni, ma noi puntiamo a una visione nazionale, che certo tiene insieme realtà diverse, ma anche bisogni comuni. Nella retorica di questi tempi si continua a parlare di territori in modo spesso ideologico e si perdono di vista alcuni elementi che sono fondamentali. Ne dico uno solo, per farmi capire: l’invecchiamento della popolazione è una cosa che travolge gli assetti sociali a Bolzano come a Crotone; così come il rapporto tra giovani e tecnologie, tra giovani e sostanze. La vera differenza, naturalmente, sta nelle risposte, nei servizi, nel livello di coesione dei vari territori. Le comunità locali sono i luoghi dove si bruciano i campi nomadi, ma a determinate condizioni sono anche i luoghi dove reperire le risorse per far ripartire invece processi con caratteristiche di coesione, di solidarietà.
Queste cose però non vengono con l’esortazione, con i dibattiti, ma solo attraverso delle pratiche. Il senso oggi esce dal fare, più che dal raccontare. C’è un problema di narrazione, naturalmente, ma le persone le convinci solo se la loro vita migliora veramente. Welfare Italia ha accolto questa sfida, in un campo molto preciso, che è quello della sanità.
All’origine di Welfare Italia ci sono una serie di idee elaborate per molti anni all’interno di Cgm, un consorzio di consorzi di cooperative sociali, che raggruppa 80 consorzi territoriali per circa 1200 cooperative sociali, sia di tipo A, cioè che fanno servizi socio-sanitari, assistenziali, educativi, culturali, sia di tipo B, cioè di inserimento lavorativo per le persone con problemi. Naturalmente non è una holding, quindi non c’è un consolidato dal punto di vista del bilancio, non c’è un bilancio corporate, però se io sommo i bilanci delle 1200 cooperative e degli 80 consorzi, alla fine supero abbondantemente il miliardo di euro di fatturato, e metto insieme tanti addetti quanti quelli della Fiat in questo momento. Stiamo parlando di 40-50.000 addetti. Cgm è una realtà importante, gestisce 6000 servizi, è un interlocutore forte per moltissime pubbliche amministrazioni. Alla fine, in un anno, dai servizi di Cgm passano 5-600.000 persone. Tutto questo, nel dibattito dentro la nostra rete, è stato giudicato insufficiente. Mi spiego. Anni fa, nel corso degli anni Novanta io ero responsabile del Centro studi, in Cgm, e quindi abbiamo fatto una marea di convegni su Stato, mercato, non profit. Bene, mentre facevamo tutti questi convegni, le famiglie si "comperavano” un milione di badanti. Quindi la scelta che le famiglie hanno fatto, obtorto collo, non era né Stato, né mercato, né non profit, ma bricolage, fai da te. Sole, sul tema schiantante della non autosufficienza, si sono organizzate.
Questo ci ha dato da pensare, perché i numeri sono importanti su queste cose. Il non profit, dal punto di vista economico e occupazionale, è una realtà importantissima. Per capirci, gli addetti al non profit, in questo paese, sono due volte e mezzo quelli del credito e assicurazioni, cioè a mio figlio io dico che se vuole un posto sicuro deve pensare al non profit, non certamente alla banca. Se li conti tutti assieme sono 800.000 addetti, tantissimi. Ma 200.000 in meno delle badanti!
Nel breve periodo in cui l’Italia era un paese prevalentemente industriale, la categoria più potente, i metalmeccanici, erano un milione e duecentomila, quasi quanti le badanti adesso. Questo ci deve dare il senso della trasformazione profondissima che è avvenuta. ...[continua]

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