Shir Hever, israeliano, economista e ricercatore per l’associazione israelo-palestinese Alternative Information Center, è redattore del bollettino The Economy of the Occupation.

Nel marzo 2008 l’Ue ha erogato 300 milioni di euro a sostegno dell’Autorità Palestinese. Perché tanti stanziamenti?
Il 30,8% delle famiglie palestinesi vive sotto la soglia della povertà. La striscia di Gaza è sotto embargo militare israeliano dal 2006, le esportazioni in Cisgiordania sono diminuite del 16% nello stesso anno, il Pil continua a contrarsi. Il contesto di occupazione militare caratterizzato da limitazione della libertà di movimento di lavoratori e beni influenza negativamente l’andamento dell’economia. I donatori internazionali hanno versato nel 2007 la cifra record di 1,4 miliardi di Usd. Questi aiuti rappresentano una spia degli interessi geopolitici nella zona. E’ noto il sostegno statunitense allo stato israeliano. L’Europa cerca di frapporsi mantenendo il ruolo di principale donatore per i Territori Palestinesi Occupati (Tpo).
Come vengono utilizzati gli aiuti umanitari?
Negli anni ‘90 gli aiuti erano intesi a permettere la costruzione di una rete di infrastrutture economiche che potesse sostenere un futuro stato palestinese. I paesi donatori speravano in tal modo di porre fine all’occupazione militare del ’67, incoraggiando la “two state solution”. Israele non sembra però aver mai accettato tale soluzione.
Gli aiuti internazionali si sono così dimostrati inefficienti a causa delle limitazioni alle importazioni di materiale di base e alla libertà di movimento dei lavoratori. Perciò la logica degli aiuti si dedica oggi ai bisogni più urgenti della popolazione, per prevenire una crisi umanitaria.
Qual è la posizione del governo israeliano verso tali aiuti?
La leadership israeliana ha permesso agli aiuti di fluire liberamente, in modo da poterne riscuotere le tasse, dovendo ogni aiuto passare attraverso Israele, e non avendo le organizzazioni umanitarie altra possibilità di acquistare prodotti se non nel mercato israeliano. Da una parte Israele impedisce ogni tipo di sviluppo economico nei Tpo, dall’altra permette il flusso di tali donazioni per paura di suscitare una crisi umanitaria che minerebbe la sua legittimità internazionale.
Come sono regolati i rapporti economici tra Israele e i Tpo?
Dal ‘94 i rapporti tra le parti sono regolati dal Protocollo di Parigi, che prevede un’unione doganale. Durante le negoziazioni per la formulazione del Protocollo, un gruppo di economisti palestinesi fece pressione per la firma di un accordo di libero commercio tra Israele e i Tpo, cioè un accordo in cui le parti firmatarie fossero riconosciute come paesi sovrani, e che prevedesse per ognuna delle parti la possibilità di regolamentare le sue relazioni economiche con i paesi esteri. L’unione doganale conferiva invece al Ministero degli Esteri israeliano un potere decisionale esclusivo su tutte le relazioni economiche estere dei Tpo. I negoziatori palestinesi accettarono, per ottenere in cambio la garanzia del libero movimento dei lavoratori. Dall’inizio della seconda intifada Israele ha però imposto severe restrizioni nei movimenti, violando l’accordo. Israele controlla così oggi l’economia palestinese attraverso una lista di paesi dai quali i palestinesi possono importare. Queste limitazioni rendono il mercato dei Tpo sempre più dipendente da quello israeliano, facendo ammontare al 73% le importazioni che provengono da Israele. Le barriere commerciali israeliane sono erette per proteggere il mercato da importazioni a basso costo. Le tariffe doganali israeliane vengono applicate anche alle importazioni palestinesi. Tali dazi ammontano attualmente a circa 60 milioni Usd ogni mese, che rappresenterebbero, se versati, circa il 60% del budget dell’Autorità Palestinese (Ap). Il problema fondamentale è la mancanza di confini internazionali tra Israele e i Tpo. I confini sono un elemento di sovranità che non è garantito ai palestinesi.
Quali sono oggi i rapporti economici con i paesi arabi confinanti?
Alcuni paesi arabi non hanno relazioni diplomatiche e commerciali con Israele. Questi paesi potrebbero offrire ai palestinesi alcuni prodotti, come il petrolio, a particolari condizioni commerciali. Nelle liste A1, A2 e B del Protocollo di Parigi sono registrati alcuni beni in predeterminate quantità che possono essere importati nel mercato palestinese da paesi arabi-musulmani, in particolare Giordania ed Egitto, ...[continua]

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