Pietro Marcenaro, deputato Ds, è impegnato nella Commissione Affari Legali e Diritti umani. L’intervista è stata fatta prima dello svolgimento delle primarie.

Cosa ti aspetti dal Partito democratico?
Alcune cose, anche poche, ma molto importanti. Si farà uno statuto in cui si dirà che in tutte le occasioni in cui si deve scegliere il candidato a ruoli monocratici, cioè sindaci, presidenti delle regioni, eccetera, si ricorrerà a elezioni primarie in modo tassativo? Se nello statuto fosse scritto questo, sarebbe una novità assoluta.
Se si riuscisse a stabilire un modo per trovare un equilibrio convincente tra l’organizzazione di opinioni, di un pluralismo interno, e la pratica della decisione e se, addirittura, succedesse il miracolo che questo equilibrio lo si trovasse attraverso procedure democratiche, anche questa sarebbe un grande novità.
Ci sono lavori abbastanza interessanti che vengono fatti sui sondaggi deliberativi. Ma pensiamo anche solo all’uso dei sondaggi nella politica. Oggi il sondaggio viene commissionato alle società specializzate dai gruppi dirigenti, che poi ne gestiscono i risultati come un’informazione esclusiva, riservata, da maneggiare in funzione delle proprie strategie. Pensate se stabilissimo che in nome del pluralismo dentro il Partito democratico, ma anche dentro la coalizione, tutta l’informazione non possa essere piegata a un uso di parte, ma debba essere offerta a tutti, a disposizione del dibattito pubblico più informato, in modo da rendere possibile un confronto di posizioni ideali. Alla fine dovresti dire che, vabbé, si fa un dibattito pubblico, si cercano i punti di convergenza, si cercano le mediazioni, com’è ovvio che sia, ma se non si trovano bisogna individuare anche delle procedure di decisione, che siano le più ragionevoli possibili e che abbiano una qualche similitudine con la democrazia, col principio di maggioranza.
Insomma, la cosa fondamentale, secondo me, è il modo in cui si regoleranno questi problemi, perché questo poi mette in moto una dinamica. Perché se l’obiettivo del Partito democratico è costruire un dibattito pubblico e una partecipazione democratica dei cittadini, per come è possibile in una società moderna, allora il fatto che come partito lo si pratichi diventa già in sé un modo per rinnovare in quel senso tutta la società. Quindi non costruisci uno strumento “solo per te”. Non è uno strumento, è molto di più.
Quindi tu pensi a un partito molto aperto alla società…
Prendiamo le persone delle primarie. Non sono gli iscritti al Partito democratico, sono persone disposte a essere coinvolte in certe occasioni a certe condizioni, che è esattamente, secondo me, la partecipazione possibile oggi. Oggi non c’è una disponibilità alla partecipazione illimitata, ma solo alla partecipazione in determinate condizioni, su determinati temi (magari di qualcuno su certi temi, di altri su altri).
Siccome la partecipazione è una risorsa scarsa, bisognerebbe provare a prenderla, a raccoglierla, nelle forme in cui è disponibile. Quindi se tu immagini la costruzione degli statuti del Partito democratico, non come un fatto puramente interno, ma come la costruzione di canali attraverso cui possa passare un fenomeno di partecipazione possibile, allora tu costruisci una cosa che contagia, che obbliga anche altri a muoversi.
Questo è uno degli altri aspetti, è una delle altre scommesse del Partito democratico, di essere una tappa di un processo di riforma, di un rinnovamento della politica italiana, che, alla fine, può cambiare lo scenario.
Qual è la difficoltà più grande?
Una delle difficoltà più grandi, a mio avviso, è la contraddizione tra un progetto che avrebbe bisogno di pensieri lunghi, di guardare lontano, e l’ansia, questo respiro affannoso della politica giorno per giorno, dei problemi da gestire. Questa è una delle grandi questioni. D’altra parte non è che possiamo pensare di costruire l’oggettino Partito democratico non dando, contemporaneamente, qualche risposta immediata sul problema del governo. Devi riuscire a migliorare, a far fare dei passi in avanti all’esperienza di governo, anche perché forse, dopo un anno, dovrebbe essere possibile fare un qualche bilancio e trarne anche qualche spunto di cambiamento.
Secondo me, le condizioni per farlo ci sarebbero, il che permetterebbe di dire a Rifondazione e agli altri, che invece di imbarcarsi in un’altra cosa, di segno conservatrice…
Radicale, vuoi dire…
Sì, radicalmente conservatrice ...[continua]

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