Anna Soru, ricercatrice economica, è presidente di Acta, Associazione consulenti terziario avanzato.

Qualche anno fa, assieme ad altri professionisti autonomi con partita Iva, avete creato un’associazione per colmare un vuoto di rappresentanza, ma anche per cercare nuove forme di tutela specifiche per il lavoro autonomo. Puoi parlarcene?
Acta è nata a Milano ormai quasi 3 anni fa dall’auto-organizzazione di un gruppo di professionisti attivi nel terziario avanzato in regime di partita Iva, i cui clienti sono in prevalenza imprese o enti pubblici. L’associazione è nata soprattutto per raccogliere le attività professionali non rappresentate da ordini professionali o rappresentate da ordini professionali senza cassa, ma è aperta anche a professionisti con cassa.
Era un’idea su cui ragionavamo da tempo: in quanto non appartenenti ad albi o ordini professionali non ci sentivamo rappresentati né appunto da ordini professionali, né dai sindacati, né da associazioni delle imprese. Non solo, di anno in anno la nostra situazione andava peggiorando, perché tutti gli interventi che ci avevano riguardato erano sempre stati di tipo punitivo sotto il profilo fiscale e previdenziale. Le leggi finanziarie dei vari governi hanno più volte aumentato i contributi previdenziali, garantendo un buon flusso di entrate al bilancio statale senza grandi reazioni di protesta, dato che non siamo un gruppo organizzato.
Da subito abbiamo deciso di essere indipendenti da partiti politici, oltre che dai sindacati, pur sapendo che questo avrebbe certamente ostacolato la nostra crescita…
La criticità della vostra posizione sul piano previdenziale è legata anche a una serie di pregiudizi, in primis quello per cui sareste dei lavoratori parasubordinati…
Dal punto di vista previdenziale, con l’ultima finanziaria i contributi sono aumentati di 5 punti percentuali, raggiungendo il 23% (più lo 0,5% che riguarda la maternità), ed è praticamente sicuro che aumenteranno ulteriormente con la prossima finanziaria. La ratio di questo aumento, dal punto di vista dei sindacati (che l’hanno fortemente voluto) è quella di equiparare i costi previdenziali al lavoro dipendente (che attualmente è al 33%) in modo da evitare che le aziende ricorrano opportunisticamente a forme di lavoro atipiche e autonome.
Ecco, dietro a questa impostazione ci sono effettivamente dei pregiudizi. Il primo è quello di ritenere che l’aumento dei contributi sarà pagato dalle imprese, mentre nella realtà spesso tale aumento va a diminuire il reddito disponibile del lavoratore. Il secondo pregiudizio è quello di ipotizzare che tutti coloro che lavorano con una partita Iva, o con una collaborazione, siano dei finti dipendenti. Non ci si riconosce la possibilità di avere scelto, o comunque accettato, di lavorare come autonomi (non sempre ha senso parlare di una scelta: per molti di noi non ci sono alternative, proprio per il tipo di lavoro che facciamo e tuttavia in tanti abbiamo accettato -se non scelto- di fare un lavoro autonomo).
L’aumento dei contributi ci ha messo un po’ fuori gioco rispetto al mercato, perché ci troviamo ad operare in segmenti in cui lavorano degli autonomi che hanno un ordine professionale, che pagano molti meno contributi di noi (alcuni addirittura la metà), quindi per noi è come lavorare con dei concorrenti che fanno del dumping. E’ come avere un handicap di partenza. Non solo, a fronte del fatto che versiamo dei contributi alti, noi avremo delle pensioni più basse di tutti coloro che sono iscritti agli ordini professionali, perché questi ultimi hanno una propria cassa; i nostri contributi invece finiscono tutti nel gran calderone dell’Inps che ci restituirà ben poco di ciò che abbiamo versato.
Noi ricadiamo tutti nel regime pensionistico contributivo netto, non c’ è stata nessuna possibilità di graduare, neanche per chi ha cominciato a lavorare prima del passaggio da un regime all’altro. Io lavoro ormai da 25 anni, ma per noi non è stato previsto nessuno “scalone”. Ma soprattutto ai versamenti effettuati corrispondono rendimenti molto bassi. E questo è un problema che non riguarda solo noi, ma tutte le giovani generazioni.
Oltretutto con dei contributi così alti non abbiamo margini per farci una pensione privata. A differenza dei dipendenti, non abbiamo neanche la possibilità di usare il Tfr per una previdenza integrativa; siamo completamente scoperti sotto il profilo pensionistico e questo è sicuramente uno dei problemi più gross ...[continua]

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