Francesco Colace, 47 anni, geometra con una laurea in scienze politiche e un’esperienza decennale come fotografo in Africa e in Brasile nell’ambito di progetti di cooperazione internazionale, 13 anni fa ha avviato, assieme al fratello Gianni, 35 anni, un progetto sui pochi ettari di collina che appartenevano ai genitori nei pressi di Tropea. E’ nato così l’agriturismo di Pirapora che si caratterizza per alcune scelte precise: risparmio energetico attraverso la bioedilizia; coltivazione e trasformazione di prodotti biologici molto differenziati destinati a soddisfare il fabbisogno delle famiglie e dei loro ospiti; condivisione delle esperienze per stimolare il tessuto sociale locale.

Com’è nata l’idea dell’agriturismo?
L’idea di tornare alla campagna è nata soprattutto in me che sono il fratello più grande. Gianni e io abbiamo 12 anni di differenza, è quasi come se fossimo due figli unici; ci siamo praticamente conosciuti quando siamo tornati entrambi in Calabria. In quel momento avevo 34 anni. Ero andato via dalla Calabria all’età di 18 anni, per andare all’università di Pavia, cioè per allontanarmi il più possibile dalle mie radici contadine.
Ricordo benissimo che quello era stato un modo per uscire dalla vita sociale della Calabria, per uscire dagli impegni, dai ruoli che avevo ricoperto fin da quando ero piccolino (a dieci anni ero responsabile delle mucche). Perché prima di partire io non solo vivevo in campagna, ma ci lavoravo, come poi mio fratello crescendo. Quindi la mia è stata una vera e propria fuga da quel periodo.
In questo senso la nostra è un’esperienza “antica”: mio fratello ed io siamo figli di contadini. I nostri genitori, i nostri nonni erano contadini. La nostra famiglia ha sempre avuto piccoli appezzamenti di proprietà e in alcuni periodi anche in affitto. Non è una novità nella nostra famiglia stare sulla terra, lo era piuttosto il fatto di andare all’università come abbiamo fatto noi. Siamo stati i primi ad aver avuto la fortuna di poter cambiare prospettive di vita: infatti mio fratello e io avevamo fatto una scelta diversa, impegnandoci in attività molto diverse dall’agricoltura.
La decisione di avviare questo progetto di agriturismo non è stata improvvisa. Gradualmente si sono create le condizioni perché si potesse tornare in Calabria: è stato un processo a piccoli passi. A un certo punto mi ero reso conto che, avendo io questo modello, questo ricordo, sapendo bene che cos’era la vita in campagna e quindi conoscendo le difficoltà (non avevo una visione bucolica, poetica), le grandi problematicità a livello di sostentamento economico, ero anche consapevole dei grandi vantaggi che la vita in campagna offriva rispetto alla vita in una metropoli. Di fronte a questa alternativa non avevo dubbi, perché non volevo più vivere in un grande centro urbano; questa presa d’atto, ripeto, è maturata lentamente negli anni.
Il vostro progetto presuppone un forte accordo familiare, tra voi fratelli e con i genitori. Com’è andata?
I miei genitori non avevano tantissima terra. Noi siamo gli unici figli e, nel momento in cui abbiamo preso la decisione di tornare in Calabria, i nostri genitori hanno compiuto un atto veramente straordinario: i contadini raramente fanno un passaggio di proprietà ai figli finché sono ancora in attività; in quel momento -parliamo di 12 anni fa- i nostri genitori erano sessantenni, e quindi ancora molto attivi, molto dinamici: erano loro che organizzavano tutta l’azienda. Hanno fatto quindi un grande atto di fiducia.
Devo anche dire che fin dall’inizio si sono manifestate due posizioni nette e distinte. Mio padre si opponeva assolutamente al fatto che tornassimo in Calabria. Era indignato, deluso, perché noi avevamo studiato; diceva: “Avete girato il mondo, avete imparato le lingue e tornate qui a lavorare in campagna”. Viveva questa nostra scelta come una delusione personale, e poi era estremamente sensibile a quello che diceva la gente del paese. Quindi con mio padre il rapporto è stato difficile: non capiva, non condivideva e aveva anche delle ragioni, dato che la nostra scelta poteva apparire come un atto di follia.
La posizione di mia madre era totalmente diversa, decisamente a favore delle nostre scelte: a lei non importava assolutamente se ci indebitavamo, se ci sarebbe stato lavoro; quello che a lei importava era che eravamo tornati qui vicino a lei.
Quindi ha vissuto quest’aspetto affettivo, familiare, più che quello della valutazione econo ...[continua]

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