Patrizio Bianchi è professore ordinario di Economia e Finanze della Cee presso l’Università di Bologna. E’ presidente di Nomisma.

Esiste un rapporto coerente tra la tendenza delle strutture economiche alla concentrazione, a diventare sempre più grandi, assumendo posizioni dominanti nel mercato, e la necessità di garantire la libera concorrenza, quindi la pluralità dei soggetti?
Innanzitutto non è vero che dimensione si colleghi ad efficienza. Ci sono tantissimi studi sugli Stati Uniti della prima metà del secolo che dimostrano come le imprese crescano ma non per diventare più efficienti. Il più delle volte crescono per riempire un buco, cioè per fare in modo che non rimanga più nessuno spazio per nuove entrate. D’altra parte in tutta la storia, dal Seicento in avanti, si evidenziano due tendenze fra loro contraddittorie, ma anche necessarie una all’altra: da una parte si consolida una società di mercato in cui uno può intraprendere delle iniziative partendo dalle proprie capacità e non dalla propria posizione sociale. (Il concetto di mercato è proprio questo: una struttura sociale in cui prescindendo da chi sia il proprio padre o il proprio nonno, quindi dal posizionamento sociale, si ha il diritto di potersi affermare. Perciò la concorrenza è libera: perché è libera dai vincoli feudali). D’altra parte, proprio mentre veniva meno la regola feudale, si poneva fortissimo il problema di una regola di mercato. Fin dai suoi albori, cioè, era chiaro che il mercato non era assenza di regole, ma si fondava, e si fonda, sul principio che tutti siano nelle condizioni di poter affermare le proprie capacità. Quando qualcuno, in virtù della propria posizione, della propria dimensione blocca gli altri, blocca il mercato e ristabilisce una condizione “feudale”.
Negli Stati Uniti, primo paese a emanarla, nel 1890, la legge antitrust fu promulgata per fermare Rockfeller che di fatto stava concentrando tutta l’estrazione di petrolio nelle sue mani. Questo era considerato negativo perché, appunto, minava l’idea di una società basata sulla libertà dei singoli, abbassando, anche, l’efficienza stessa del mercato.
Ma secondo me, rispetto anche ai dibattiti in corso, va ribadito che le regole del mercato, prima di essere importanti in materia di efficienza economica, sono importanti in materia di efficienza democratica: il concetto di mercato è che il singolo ha diritto di esprimere le proprie capacità per cui ogni volta che un altro con la propria azione lo vincola, fa venire meno un principio di democrazia. Per questo l’idea di molteplicità economica e l’idea di molteplicità politica sono così intrecciate: non ci può essere contrapposizione fra molteplicità economica e diritto di impresa e democrazia. Se viene meno una viene meno l’altra.
Allora nel dibattito attuale, io non ho nessun dubbio che c’è sicuramente un problema di molteplicità e, quindi, tanto più un settore è cruciale per la molteplicità tanto più deve essere regolato.
Lo ripeto: questo è chiarissimo non da ora ma dal Seicento in poi. Tutte le volte che al potere dello Stato si è sostituito il potere monopolista si è trattato di un fatto autoritario, lontano dal mercato e dalla democrazia. Chiunque vada alle radici del pensiero liberale, non liberista, scopre che da quando questo si afferma, alla fine del Settecento, esso si basa su un principio tutto politico, presente nelle parole chiave della Rivoluzione francese: la libertà è un fatto individuale ma la libertà funziona se tutti l’hanno e se un criterio di fraternità ne legittima l’azione individuale.
Quindi non è il mercato che detta le proprie regole?
No, il mercato non è un’entità astratta, il mercato è l’insieme dei soggetti che devono interagire in maniera libera. E i soggetti sono sostanzialmente delle persone, delle imprese, che interagendo tra loro definiscono sì, delle regole, dopodiché, però, le regole vanno fissate in modo da tutelare tutti, sia chi è presente nel mercato sia coloro che non sono presenti in quel momento. Faccio un esempio: se noi facessimo una regola per cui stabiliamo che hanno dei diritti soltanto i qui presenti, questa non sarebbe una regola di mercato, sarebbe semplicemente un accordo di cartello. Perché la Mammì non funziona? Perché in quel momento non hanno fatto una regola per le televisioni, hanno semplicemente ratificato l’esistente. Ma così non si fissano le regole, perché il diritto è tale a prescindere da chi in quel momento lo esercita.
Questo è un pri ...[continua]

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