Maurizio Maggiani è scrittore e vive a La Spezia. E’ anche presidente regionale dell’Arci ligure. Il libro di cui si parla nell’intervista è Il coraggio del pettirosso, edito da Feltrinelli.

Adesso c’è questa idea che le piccole patrie siano un concetto di destra. Castelnuovo Magra è la mia piccola patria, non ci posso fare niente, non posso nemmeno stare a discutere se la cosa è di destra o di sinistra, è così. E se andassimo a vedere insieme quei posti, vi rendereste conto anche voi che la gente, le case, la terra è diversa, che l’anima è migliore, è più ricca. E’ l’Apua, un pezzo di Lunigiana marittima molto più dolce della riviera di qui. Non so se le conoscete ma alle Cinque Terre, per esempio, hai veramente un’impressione di oceano, della fine del mondo, di una cosa durissima, invece lì è molto dolce, anche se questa dolcezza è irta di montagne di marmo.
Tanto perché capiate: fino al 23 aprile ero assessore del Comune dove sono nato e sapete perché? Perché c’era stata una grande novità: dopo 50 anni di monocolore comunista, la sinistra è andata in crisi e si è formata una giunta finalmente nuova, di Lotta Continua, col sostegno del Pds e con l’astensione benevola dei democristiani che di fronte a un sindaco non comunista, bensì di Lotta Continua, hanno rilevato la grande novità e si sono astenuti invece di votare contro. Dico “di Lotta Continua” perché mi hanno telefonato tre vecchi compagni dicendomi: "allora, te ven zu?", "a fare cosa?", "a fare l’assessore, ci siamo noi adesso". Sì, dopo vent’anni avevano preso il potere. Poi, se parli con il sindaco, ti accorgi che al mondo non c’è uno più conservatore di lui, uno tanto amato dalle vecchiette e a cui ovviamente anch’io voglio molto bene, uno che per dieci anni è stato a New York e a Seattle a fare il biologo ricercatore nei grandi centri mondiali della ricerca per la leucemia, ma se ci parlate non sospettate che sia stato nemmeno un solo giorno fuori da Castelnuovo. Ma questa è l’Apua. C’è gente, comunisti, anarchici, Arditi del popolo, una generazione che è emigrata all’estero, che è stata in Francia 40 anni, li vedi arrivare a Castelnuovo e la prima cosa che ti dicono è: “eh, ciao, lo sai chi è morto?”. Non so se mi spiego, ma è come se fossero partiti ieri. Il più famoso degli Arditi del popolo dovette scappare in Francia, si è sposato lì e non è più voluto tornare, ma veniva a Castelnuovo tutte le estati da solo, senza la famiglia, stava da sua sorella, e quando arrivava tutti per la strada a dirgli: “come va?”. E’ successo che una volta, prima di Pasqua, ha detto a sua figlia “vado a Sarzana a morire”, Sarzana è sotto Castelnuovo: è venuto giù prima di Pasqua, è stato lì due o tre giorni e a Pasquetta è morto. E stava benissimo, tant’è che quando è venuto il figlio, che fra l’altro non parlava neppure l’italiano, più che addolorato era esterrefatto, perché aveva lasciato suo padre perfettamente in salute.
Questa è la piccola patria. Lo so che è un’idea un po’ conservatrice, ma noi siamo contadini e i contadini sono conservatori, non c’è niente da fare. I contadini credono al Natale non alla Pasqua. Mentre scrivevo il romanzo che è uscito adesso ho dovuto ristudiare un po’ le cose della fede, della teologia, e mi sono messo a riflettere su questo fatto: qual è la vera grande festa della cristianità? E’ la Pasqua, ovviamente. Se Cristo non resuscitava non era davvero figlio di Dio. La venuta è una specie di preambolo. Invece la mia festa è il Natale e anche il popolo, la plebe, ha la sua festa a Natale. La Pasqua è una festa borghese, a Pasqua tutti vanno in gita, ma chi ci va in gita? La plebe va in gita? "Pasqua con chi vuoi", ma te lo immagini un bracciante che va via con chi vuole?
La Resurrezione è un concetto estremamente complicato, veramente molto difficile, è un’astrazione e soltanto la cultura borghese, che è una cultura raffinata e abbastanza piena di sé, può immaginarsi tranquillamente la resurrezione del figlio di Dio, nonché la propria. I contadini, invece, non hanno il concetto della Resurrezione, il fatto che si risorga dalla propria carne macerata non possono capirlo e dubito che potrebbe interessarli perché il contadino odia il proprio corpo perché è fonte di disastri immani così come odia la natura che gli richiama paura, terrore, malattia. Il contadino conosce soltanto la natura lavorata dall’uomo, la natura in funzione della sua possibilità di lavorare. Magari poi c’è un’ecologia contadina che è rispettosa ...[continua]

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