Fulvio Papi insegna filosofia teoretica all’Università di Pavia.

Come vede il futuro alla soglia del passaggio del secolo? Credo sia una domanda quasi televisiva, ma per lei, che ha appena pubblicato un libro dal titolo Philosophia imago mundi, è una domanda quasi obbligatoria.
L’immagine invisibile, mi scusi il bisticcio, del mondo che si riesce a disegnare dipende completamente dal luogo in cui ci si trova, dalle parole di cui si dispone, e certamente dai fini che, in un modo più o meno consapevole, nascono dalle proprie relazioni con il mondo. Se io fossi un nomade del deserto arabico o uno Zulu o un agricoltore del Nord della Cina non so proprio che cosa le potrei rispondere. Anzi sono convinto che a un personaggio di questo tipo lei non farebbe nemmeno questa domanda. La domanda che mi fa appartiene già all’orizzonte di senso nel quale lei e io ci troviamo ad essere. Lei sottintende una mia disponibilità a rispondere, una disponibilità non psicologica ma intellettuale. Lei suppone che io disponga di parole che possano sorvolare al di là di un circoscritto limite di spazio e di tempo. Non sono un “saggio”, ma un filosofo occidentale che può emendarsi filosoficamente dai rischi peggiori della propria tradizione valorizzandone invece le possibilità. Ho un pensiero astratto, una capacità di narrazione teorica. Il disegno che le farò non è una previsione che dovrebbe cimentarsi con una serie di variabili che non credo nessuno possa dominare. Ma c’è un desiderio di interrogare il destino: “una immagine verosimigliante del mondo che possa essere riconosciuta come immagine del proprio essere nel mondo”. E’ qui che comincia il mio disegno. Ascolti: la popolazione mondiale è in una crescita molto sensibile, gli otto miliardi di abitanti sono un risultato che è a portata della vita di persone di mezza età. Il modo in cui finora sono stati prodotti i beni necessari alla vita non mi pare stia cambiando. Mi pare che i seicento milioni di persone già oggi a rischio della vita per fame provano invece che, se il problema fosse solubile con una relativa facilità, esso sarebbe già in via di soluzione. Non ho dati perfetti, ma le monocolture intensive hanno desertificato spazi immensi, l’agricoltura intensiva a medio-lungo termine provoca la inutilizzabilità delle terre e la riduzione degli spazi coltivabili. I sistemi attuali di pesca stanno “desertificando” gli oceani...
E ogni soluzione è impossibile?
Impossibile è una di quelle parole che rischiano di abolire la temporalità. Non voglio parlare come se le mie proposizioni appartenessero alla fisica della reversibilità. Le mie parole sono segnate nel modo più profondo dalla temporalità. Chiediamoci: come si produce oggi? Il mercato mondiale mostra tensioni e scompensi come è ovvio, ma come Gestell (apparato di natura impositiva) o come struttura, funziona con tutte le rigidità che sono e devono essere proprie di un mercato, sia dal punto di vista della circolazione dei capitali, della crescita tecnologica, dell’organizzazione razionale del lavoro. “Razionale” vuol dire soltanto capacità di calcolo, massimizzazione. L’esperienza di questi anni ha mostrato che interventi correttivi su aspetti di crisi sono possibili solo su aree circoscritte e con interventi che attivino al meglio il funzionamento del mercato, per esempio con il risanamento dei debiti pubblici o con ammortizzatori sociali che contengano il rischio di conflittualità troppo intense. Sulla distribuzione di risorse o di tecnologie su scala mondiale che non avvengano attraverso un indebitamento disastroso dei paesi poveri (produco per pagare) non mi pare sia accaduto niente di rilevante. Non sto dicendo che non se n’è occupato nessuno. Anzi, moltissimi.
Quello che non si vede è l’inizio di un processo che vada in senso contrario al peggio. Dov’è la mente razionale e potente che sia in grado di prendere decisioni di portata planetaria? Questo è il fallimento del cosmopolitismo non solo dal punto di vista dei suoi ideali ma anche dal punto di vista del calcolo delle sue utilità. Non c’è nessun “soggetto” comunque chiamato, ci sono solo le cose che vanno come vanno entro le quali ci sono orizzonti di soggettività. Che magari parlano ma il cui linguaggio non ha nessuna forza. Questo lasciare che le cose vadano come vanno non è una scelta, è un fatto.
Ha toccato un tema centrale, la razionalità. E’ d’accordo con la tradizione heideggeriana che associa a questa forma di razionalità una volont ...[continua]

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