Paolo Flores D’Arcais, filosofo della politica, è direttore di "Micromega" e opinionista de "La Repubblica" ed "El Pais".

Dopo l’accantonamento del marxismo quale filosofia ispiratrice, la sinistra si trova a dover fare radicalmente i conti con la questione della progettualità politica, ma quale può essere oggi una base progettuale per la sinistra? Lei ha proposto una riscoperta della "legalità"…
La sinistra, in tutte le sue componenti -da quelle marxiste a quelle anarchiche, a quelle comuniste dissidenti- ha sempre guardato con sospetto al concetto di "legalità", perché ha sempre considerato che la legalità fosse uno strumento del potere per mascherare la brutalità dei rapporti di forza, dei rapporti di oppressione e di sfruttamento. Ora, senza addentrarsi in una discussione storico-ideologica sul passato, credo che occorra constatare che la legalità è invece uno degli strumenti più poderosi di contestazione degli assetti di potere. Credo che possiamo finalmente renderci conto che, se si prende sul serio la legalità, chi paga dei prezzi è proprio l’establishment, coloro che stanno al potere. Quelli che quando parlavano di legalità -in realtà però si parlava di "legge e ordine"- imponevano il rispetto delle leggi agli altri, intesi come sudditi, ma se ne consideravano assolutamente sciolti. Ora, tutta la vicenda di "Tangentopoli" è la dimostrazione più clamorosa di come la legalità possa essere uno strumento di contestazione del potere e di liberazione per coloro che non hanno altro potere che i loro diritti di cittadinanza e la capacità di collegarsi tra loro e lottare. Abbiamo visto che il più grande sommovimento che c’è stato in Italia da quasi mezzo secolo, o per lo meno a partire dal ’68 -e certamente con esiti molto più efficaci, spiace dirlo, che non quelli del ’68- è stato dato semplicemente dall’applicazione del principio di legalità, cioè dal fatto che si è smesso di considerare la legge qualcosa che andava bene per i sudditi, ma non per i politici e gli altri potenti che ne erano esenti. E si è applicato sul serio -o meglio, si comincia ad applicare sul serio, perché la cosa è ancora parziale- il principio per cui la legge è davvero uguale per tutti e non ci sono scusanti né per il politico, né per l’industriale, né per chicchessia.
Questa intuizione del valore di liberazione della legalità, quindi eversivo rispetto a delle situazioni di oppressione, era stata messa in pratica in modo straordinario dai dissidenti polacchi parecchi anni fa. Negli anni settanta, dopo una delle rivolte finite nel sangue, mi sembra quella di Radom, i vecchi gruppi dissidenti -che in genere erano di origine trotskista- cominciarono a cambiare strategia. Fino ad allora si erano scontrati col potere da tradizionali posizioni di sinistra e avevano dovuto subire uno scacco dopo l’altro, a quel punto, invece, organizzarono i comitati di solidarietà con gli arrestati, il K.O.R. e cose di questo genere, e svilupparono l’idea che, visto che il potere faceva delle leggi in teoria bellissime, si trattava di prenderlo in parola, di esigere semplicemente il rispetto delle sue leggi. Invece di contrapporsi al potere la strategia diventò quella di esigere che il potere rispettasse la sua parola, che alle parole corrispondessero i fatti. Può essere stato un caso, però questa strategia in Polonia ha avuto un successo straordinario: è all’origine della nascita di Solidarnosc; è all’origine della capacità di questi gruppi di diventare gran parte del movimento. Cosa analoga aveva compreso anche Havel in Cecoslovacchia. Credo che "Tangentopoli" sia la dimostrazione che "legalità" può voler dire una quantità di cose straordinarie dal punto di vista di coloro che non hanno potere. Se andiamo a vedere in concreto quanto il modo di essere delle classi dirigenti in Italia sia stato profondamente intessuto di illegalità, capiamo anche quanto l’esigere e l’imporre il rispetto della legalità significhi un ridimensionamento straordinario del potere delle forze conservatrici, o di destra, sia da un punto di vista politico che economico.
Chiedere legalità significa mettere in discussione un potere che si è servito delle stragi, significa ridiscutere completamente il ruolo dei servizi e dell’esercito -vedi questione di Ustica-, significa smantellare completamente quello che è stato un ceto politico di governo, la nomenklatura democristiana e socialista. Significa smantellarla dai vertici, dagli Andreotti e dai Craxi, fino all’ultimo assessore ...[continua]

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