Tu hai lavorato, hai fatto ricerche con i bambini di strada. Innanzitutto ci puoi dire chi sono?
Va premesso che i giornali, come spesso succede, trattano quella che chiamerei “presenza di bambini per le strade” in modo troppo spettacolare. In realtà non sono “bambini di strada”, sono tante cose insieme, perché attorno alla strada c’è tutto un contesto, molto vasto e complesso. Ma le Tv li vanno a riprendere solo sulla strada, nei momenti in cui loro si trovano lì. Per esempio: se è vero che ci sono bambini che vivono in strada e che il loro numero sta aumentando negli ultimi anni, ce ne sono tanti altri che fanno tutta la giornata nelle strade e poi tornano a casa la sera, altri passano la settimana in strada e tornano a casa il fine settimana. E ci sono addirittura  bambini che possono passare anche un mese in strada, ma che non hanno nella strada il loro punto di riferimento centrale, che resta nella famiglia. Teniamo presente la vastità geografica di una megalopoli del terzo mondo: un bambino che si trova nella strada perché non ha altre possibilità, che deve andare lì a raccogliere qualcosa per vivere, e molto spesso anche per riportare a casa qualcosa, deve restare in strada perché non ce la farebbe ad andare e tornare in un giorno.
E infatti, spesso, quando mi chiedono di raccontare la mia esperienza e dico che ho lavorato coi bambini delle favelas, mi sento rispondere “ah, allora non sono bambini di strada”. E io a spiegare che nella favela sono tanti i bambini che dopo la scuola vanno in strada.
Sono figli di immigrati nella grande città, vivono nelle grandi periferie o molto spesso nelle favelas che sono enclaves di povertà all’interno di quartieri benestanti. La maggioranza di questi bambini si trova in strada per partecipare al mercato informale del lavoro, e un numero più ristretto di questi bambini sono bambini che ormai vivono nella strada, che hanno lì il loro punto di riferimento centrale, la loro casa, e che nella strada ricostituiscono tutti quei rapporti, quelle reti di contatto, di cui una qualsiasi persona ha bisogno per riuscire a sopravvivere. Si fanno un gruppo di riferimento che potrebbe corrispondere a una famiglia, hanno dei ritmi, hanno degli orari, hanno dei compiti distribuiti.
Quanti sono questi bambini?
Sulla questione delle cifre la prima cosa da osservare è che vanno dai 7 ai 30 milioni di bambini solo per quel che riguarda il Brasile e che quindi non ci possono dire molto perché la variazione è troppo grande. E questo dipende dalla difficoltà oggettiva ad afferrare il fenomeno. Chi è questo bambino di strada? E’ quello che abita in strada? Quello che va in strada a lavorare? Quello che sta in strada una settimana?
Ma una cosa ancora più importante da chiedersi è se sono bambini.
Noi, uso il noi intendendo qui in Europa, li chiamiamo “bambini” perché sono piccoli, perché in una città dell’Europa una persona di 13 anni da sola in strada ha un certo significato. Ma in Brasile e in America Latina ha un altro significato, può essere già una persona adulta che va in strada a fare quello che io, ma non solo io, chiamo lavoro, e che non si trova “perso” in strada, non si trova “deviato” da un suo percorso dovuto, originario. Si trova in strada così come in strada, a volte, si trova sua madre, così come ci sono tanti adulti in strada.
Ho letto che un semaforo di S. Paolo, più o meno, dava da lavorare a trecento persone, tra poliziotti, bambini, venditori vari e anche ladri. Trecento persone che all’incrocio di due grosse avenide riescono a cavarsela, a risolvere la loro vita.
Per cui la prima cosa su cui ragionare è questa. Sono bambini nella concezione che noi intendiamo di bambini? Perché parole come bambino e lavoro non vanno insieme, per cui o non sono bambini o quello che fanno non è lavoro. Loro stessi poi ti trasmettono quest’idea: un bambino che ha iniziato molto presto a preoccuparsi della sussistenza della famiglia non accetta volentieri, non trova senso, in una proposta educativa basata su quest’immagine: del bambino che gioca, che ha tempo libero, che sta attento al suo processo di sviluppo.
Come ti rivolgi allora a questa persona?
Perché se è un bambino mi ispira una certa attenzione, tenerezza, dovrò proteggerlo, dovrò proporgli delle attività ludiche, dei momenti piacevoli, tutto il bagaglio di cose che pensiamo quando pensiamo al rapporto con un bambino... Poi invece ti trovi di fronte a una persona che magari ti fa male. Che ti ruba, ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!