Eravamo arrivati alle soglie del carcere...
Il carcere è un passaggio della vita. Quando uno si lancia verso le esperienze, verso i viaggi e le avventure, deve aspettarsi appunto che siano belle e brutte; per dirla con i Greci: “un uomo che non è mai colpito dalle avversità, in fondo è un uomo sfortunato, perché non ha mai occasione di dar prova di se stesso”. Le avversità arrivano per metterti alla prova e per rinforzarti. Chi parte per un viaggio sa anche di rischiare la morte, la galera, la pazzia. Uscirne abbastanza salvi, sia fisicamente che mentalmente, significa che queste esperienze ti hanno dato qualcosa. Sempre che si sia d’accordo sul significato da dare all’essere salvi mentalmente.
La tua esperienza in carcere dall’esterno sembrava allucinante…
Ho visto gente che per un filtro di canna si è fatta un anno e otto mesi. Oppure gente arrestata direttamente all’aeroporto: importare o esportare droga, in qualsiasi quantità, ti comportava trent’anni di galera… Però a finire dentro era solo qualche hippy sperduto, condannato all’ergastolo per una cazzata, mentre i grossi trafficanti o la mafia locale non venivano toccati…
A pericolo scampato ci si ride sopra, ma quando ero lì non ero certo contento. Era la mia buona filosofia interiore che mi insegnava ad andare avanti. In seguito, sono arrivato al punto di dire che vi sono alcune esperienze che sono interessantissime, irripetibili; e che sono contento di averle fatte. In quale altro luogo avrei avuto l’occasione di vivere le altre culture, di imparare altre lingue, di conoscere la gente dura di tutti i paesi? Mi piace l’astrofisica e la fantascienza, e così spesso mi piaceva pensare di essere salito su un’astronave che per cinque anni viaggiava per lo spazio. L’astronauta e il carcerato devono entrambi adattarsi a lunghi viaggi, alla convivenza continua con altri e questo ti fa conoscere interiormente una persona (e anche te stesso) meglio di chiunque altro.
Nella galera si fanno un sacco di esperienze positive; per dirla con Buddha: “noi non siamo nella galera, ma la galera è dentro di noi”. In certi momenti ti puoi sentire più libero di uno che se ne sta fuori, incarcerato nella sua routine…
Quando nel ’78 ti venni a trovare nel carcere di Istanbul stavi bene e fu sorprendente. Anni dopo ti incontrai a Rimini…
Quando mi hai incontrato da tossico può darsi che ti abbia salutato freddamente… E’ tipico della situazione… Sei da un’altra parte. Una peculiarità del tossico è quella di non ridere mai. Ha spento tutte le emozioni, ha di fatto esorcizzato anche la paura. Non a caso l’eroina veniva usata dai marines in Vietnam, per fregarsene della morte. Nel viaggio del tossico convivono sia positività che negatività…
Parlaci del carcere di Istanbul…
Il carcere era una vera città. Credo che ce ne siano pochi al mondo con 4.000 detenuti. Il corridoio centrale era lungo quasi un chilometro e ogni dieci metri c’era un portale che si apriva e introduceva ad una sezione, fatta da due stanzoni enormi, uno di 30 metri per 5 al piano terra e uno al primo piano, con i letti a castello per la camerata. Ma naturalmente erano sempre sovraffollati e i letti non bastavano mai, tanto che c’erano materassi anche al piano terra. In tutto eravamo 20-30 persone per sezione. C’era anche un cortile, che restava aperto dalle sei di mattina alle sei di sera e comunicava con un’altra sezione. Il vivere tutti assieme però non rappresentava una grande sofferenza. Certo, si era privati di ogni privacy ma ci permetteva anche di avere un continuo contatto con gli altri. Passavamo la notte a fare festa, a suonare la chitarra, a giocare d’azzardo, a fumare… Il fumo in carcere girava come le caramelle. Pensa: uno casomai si doveva fare un anno e otto mesi per il filtro di uno spinello e una volta arrivato in carcere trovava quintali di fumo! Di altra droga, invece, ne girava poca. Almeno fino al 1980, quando cominciò ad entrare l’eroina. Da allora, chi come me era stato tossicodipendente, ebbe l’occasione di ricominciare, e anche pesantemente. Il carcere ti porta ancora di più a ricercare lo sballo, e non importa certo come. Io avevo rubato al dentista una siringa di vetro e con quella ci facevamo in una trentina. Per mesi usammo lo stesso ago. Ancora non si parlava di Aids o di altre malattie e noi eravamo tutti sanissimi. Quando poi un austriaco ruppe il vetro della siringa, in attesa di poter procurarcene un’altra, usammo un metodo americano, cioé il sistema d ...[continua]

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