Pubblichiamo l’intervento di Pietro Adamo al convegno tenutosi il 19 e 20 aprile 2013 a Forlì con il titolo: "L’Italia che sognavano, l’Italia mancata”, organizzato dalla Fondazione Alfred Lewin, la cui prima giornata è stata dedicata alla trattazione di alcune riviste politico-culturali del Novecento: "L’Unità” (1911-1920) di Gaetano Salvemini; "Lo Stato Moderno” (1944-1949) di Mario Paggi; "Volontà” (1946-1962) e "Tempo Presente” (1956-1968) di Nicola Chiaromonte e Ignazio Silone, presentate rispettivamente da Carlo Lacaita, Elena Savino, Pietro Adamo e Cesare Panizza.

Ci sono più motivi per ringraziare la Fondazione Lewin e i suoi soci, gli organizzatori di questo convegno. Primo, li si potrebbe ringraziare per la loro pervicace testardaggine culturale, per la loro insistenza nel riproporre i testi, i luoghi, i personaggi, gli eventi dell’"altra Italia”, quella che avrebbe potuto essere e non è stata (e dubito fortemente che sarà nei prossimi lustri), vagheggiata dalla sinistra laica e libertaria, dai Gobetti, dai Rosselli, dai Garosci (sua la locuzione), e così via. Li si potrebbe ringraziare per motivi più squisitamente strumentali, perché mettono a disposizione degli studiosi, e magari di giovani che non hanno mai sentito parlare di Rosselli o Salvemini, testi importanti, di prima mano, che possono essere consultati da studenti o usati per tesi di laurea. Infine, si potrebbero ringraziare gli amici di Una città e della Fondazione semplicemente per il fatto che esistono: i momenti che organizzano permettono a persone di comune sentire di ritrovarsi; fanno bene -non voglio dire all’anima, termine che mi sembra troppo religioso- ma per lo meno al cuore di coloro che in quella nostalgia per l’"altra Italia” trovano motivi di comunanza, di associazione, di un sentire condiviso. Vent’anni fa avrei forse detto di una solidarietà da compagni; ora, per ovvi motivi, non uso il termine.
La rivista di cui devo parlarvi è Volontà, che si distingue un po’ dalle altre sue colleghe di cui si parlerà e si è parlato oggi perché è una rivista marcatamente di area; non che le altre non lo siano, che non facciano riferimento a un certo comune sentire, a volte persino a un partito, ma mentre i socialisti, per esempio, sono capaci di fare pubblicazioni che guardano ai problemi del lavoro, alla scuola, ai problemi sociali, gli anarchici fanno riviste che riguardano una e una cosa sola: l’anarchismo. Nelle riviste anarchiche, sicuramente quelle dal dopoguerra in avanti, di qualsiasi cosa si parli, alla fine dei conti l’argomento principale è sempre e soltanto l’anarchismo, le sue possibilità, la sua ragion d’essere, eccetera. Quindi, rivista d’area il cui più marcato motivo di esistenza è il rapporto con la tradizione politica che la ispira.
Volontà nasce a metà del 1946. Trova le sue radici nell’operato di una coppia un po’ irregolare che si è formata ancora nel 1943, una coppia di militanti ma anche una coppia nella vita e in questo sta forse la sua maggiore irregolarità.
Le due persone in questione danno vita a riviste come Rivoluzione libertaria e Il pensiero libertario; prima di fondare la rivista Volontà fanno un settimanale che si intitola anch’esso Volontà; animano anche una casa editrice, le Edizioni RL. I due vivono a Napoli e si muovono in un contesto, il Sud liberato, dove, tra il ’43 e il ’45, si può pubblicare e si può fare propaganda; gli antichi militanti di sinistra, gli anarchici, ma anche i socialisti, i comunisti, i repubblicani più radicali, si radunano, fondano associazioni, animano club, fanno nascere reti di comunicazione. Insomma i due si ritrovano al centro di una situazione magmatica e vivace. Si chiamano Cesare Zaccaria e Giovanna Caleffi, sposata Berneri. Partiamo da lei.
È l’anima della rivista: è lei che costruisce e bada alle reti di comunicazione, cura le relazioni, segue la corrispondenza. Giovanna è la vedova di quel Camillo Berneri di cui tanto s’è detto e parlato, allievo di Salvemini, che nella Firenze dei primi anni Venti aveva frequentato Ernesto Rossi, i fratelli Rosselli, tutta la galassia dei salveminiani e che dal suo professore aveva mediato molto dal punto di vista del metodo. Un intellettuale che, come sapete bene, finì assassinato nelle giornate di Barcellona del maggio 1937. Quindi Giovanna è una donna che ha una serie di conoscenze importanti che risalgono agli anni Venti e Trenta, agli anni dell’esilio ma anche agli anni di univers ...[continua]

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