Cari amici,
questo mese, inevitabilmente, vi parlo di nuovo di Hong Kong, dove mi trovo malgrado la stagione non sia delle migliori, fra caldo soffocante (come dappertutto, del resto) e monsoni estivi. Il fatto è che non volevo assolutamente perdermi il quindicesimo anniversario del passaggio di sovranità di Hong Kong dalla Gran Bretagna alla Cina, dato che non solo si tratta di una cifra semi-rotonda, di quelle che per gli anniversari sembrano contare sempre un po’ di più, ma anche perché per vari motivi in questo periodo Hong Kong è ancora più mobilitata, e trovo questo lungo risveglio politico imprevisto e affascinante.
Intanto, con il XV anniversario c’è stato anche il cambio dell’amministrazione: esce di scena l’ex Baronetto della Regina Donald Tsang (che a malincuore dovette rinunciare al titolo quando fu nominato Capo dell’Esecutivo, dopo un periodo di governo caratterizzato da una particolare incapacità a vedere oltre il naso suo e dei promotori immobiliari amici suoi e di altri ricchi amici che si è fatto mentre era al potere), ed entra CY Leung, un ispettore immobiliare che è già riuscito a farsi coinvolgere in uno scandalo che riguarda proprio delle aggiunte illegali alle strutture di casa sua. Malgrado le promesse fatte all’epoca del passaggio di sovranità, Hong Kong ancora non si è vista conferire quel suffragio universale a cui la mini-Costituzione che la governa dice che ha diritto. Pechino ha fatto il possibile per trascinare i piedi mentre finanzia partiti che le sono congeniali, e i governanti di Hong Kong, per ora scelti da Pechino, hanno provveduto a inventare sistemi sempre più bizantini grazie ai quali si possa inscenare l’elezione diretta di alcuni membri del mini-Parlamento di Hong Kong, anche se nei fatti si elegge uno sparuto gruppetto che, quando va tutto bene, riesce solo a fare le veci dell’opposizione, anche se ha vinto il voto popolare.
In un gioco così truccato, che Hong Kong si politicizzi sempre più e che, in particolare, quelli che hanno meno di trent’anni si politicizzino sempre di più, è davvero miracoloso. Dunque, CY Leung: è stato nominato dopo una campagna contro un altro prediletto di Pechino, Henry Tang, che si è però escluso da solo dalla gara dopo che… è stata rinvenuta un’enorme cantina abusiva in casa sua. Il fatto che "in lizza” ce ne fossero due era importante per far finta di fare una vera campagna elettorale -anche se su sette milioni di persone che ci sono a Hong Kong, solo un gruppo di 1200, selezionati da Pechino, aveva il diritto di voto. Ugualmente, facevano tutti finta di voler ascoltare almeno un po’ l’opinione pubblica. Salta fuori la cantina abusiva; Leung, il rivale, grida allo scandalo, poi quando viene eletto… vengono fuori sei modifiche abusive a casa sua, ma ormai il danno era fatto. Pechino su certe cose non tornerebbe mai indietro. L’opinione pubblica però, che già era furiosa del fatto che le fosse imposto o un "maiale” (il nomignolo di Tang) o un "lupo” (soprannome di Leung), vedendo come entrambi siano sereni nell’impunità nella quale vive l’1% di Hong Kong, è decisa a non fare sconti a Leung.
Così, il 1° luglio era l’occasione per esprimere il proprio malcontento. Poi, le cose sono un po’ precipitate: per l’anniversario, Hong Kong è stata graziata dalla visita del Presidente e Segretario del Partito Hu Jintao e, come sempre accade -qui, ma oramai anche all’estero- davanti al grande dispiacere che i governanti di Pechino provano a essere criticati, le forze dell’ordine fanno cose del tutto sconsiderate pur di "proteggerli” dalle proteste. Così, quando un giornalista dell’Apple Daily di nome Rex Hon ha urlato a Hu Jintao (non per volontà di urlare, ma perché i giornalisti erano tenuti molto lontani dal Segretario Generale) se avesse sentito dire che "la gente di Hong Kong desidera che sia fatta giustizia per i fatti di Tiananmen del 1989”, ecco che la polizia lo ha prelevato a forza e interrogato per 15 minuti. Gli altri giornalisti hanno cercato di proteggerlo, è scoppiato uno scandalo. Come giustificazione la polizia gli ha solo detto che aveva fatto la sua domanda "troppo forte”. Tre giorni dopo, il Capo della polizia di Hong Kong si è scusato, dicendo che era stato un "errore di giudizio” da parte di un subordinato, ma ormai chi ci fa più caso? Ogni volta che ci sono delle alte cariche dal nord, la polizia perde la testa, poi a volte si scusa, a volte no, ma all’occasione dopo si può star certi che ricomincerà da capo.
L’accaduto però ha fatto una certa pubblicità involontaria alla manifestazione del 1° luglio, ed ecco che vi si sono recate 400.000 persone, ben più del previsto. C’ero anch’io, e posso assicurarvi che non era una scherzo: marciare sotto al sole cocente delle tre del pomeriggio nell’assolato luglio di Hong Kong sarebbe stato difficile comunque, ma la polizia aveva deciso di non aprire del tutto la strada, e che i manifestanti avrebbero avuto diritto a sfilare solo su metà strada -l’altra metà era per le auto, così che il traffico non venisse disturbato dalla manifestazione. Dopo un po’ c’era talmente tanta gente che sono stati costretti ad aprire un po’ di più la strada. D’altra parte siamo rimasti bloccati per più di un’ora e non si riusciva ad andare avanti. Ma questo è un particolare che per quanto ne so io vedrete solo a Hong Kong e in Giappone: manifestazioni tutte ordinate; se la polizia lo chiede avvengono anche solo sul marciapiede, una fila lunga lunga di persone con un cartello in mano, che ogni tanto urla degli slogan, e per il resto lascia che siano le magliette con le scritte o gli striscioni a dire quello che pensano. Nessuno se ne spaventa: non ci sono mai stati cassonetti bruciati, scritte spruzzate a vernice, o negozi che hanno avuto le vetrine spaccate, per cui lo shopping della giornata di vacanza procede forsennato. Ho visto alcuni cinesi "del continente”, venuti a Hong Kong a comprare come degli ossessi, sollevare lo sguardo vedendo quasi mezzo milione di persone che sfilava e restare del tutto sorpresi. Così, davanti a un tale imprevisto, si sono messi a scattare fotografie, e anche quelli che sembravano più persi nel loro insignificante shopping avevano l’aria di trovare bello che a Hong Kong le manifestazioni siano ancora libere, e che possano essere così imponenti. Uno, con una cinepresa e una sporta di Gucci in mano, si è messo a filmare tutto. Io lo guardavo fisso e lui mi ha fatto un gran sorriso sollevando il pollice, e poi ha detto: "hao!”, cioè, "bene!”.
Si protestava contro un sacco di cose diverse: tutti chiedevano le dimissioni del "Lupo”, e il suffragio universale. E tutti chiedevano anche che venisse fatta giustizia per i morti di Tiananmen del 1989. Io lo trovo straordinario: ad ogni singola manifestazione, Hong Kong si fa carico di dire a voce altissima: non dimentichiamo, vogliamo giustizia. Chissà che effetto deve fare a Pechino, dove invece il governo è riuscito a sedare tutti col consumismo, e per ogni eroe che dice a voce alta di non dimenticare, ci sono milioni di persone che invece hanno dimenticato davvero, ripiegati in un quotidiano fatto di cose che assumono importanza senza motivo.
Il governo centrale lo sa che Hong Kong è così testarda, e indovinate che cosa ha offerto come regalo per il quindicesimo? Un bel pacchetto economico per stimolare la finanza locale, rafforzandone il ruolo di piazza principale per l’internazionalizzazione della moneta cinese.
Ilaria Maria Sala