Cari amici,
sono tornata da poco da Israele e ho avuto modo, nella tradizione delle visite a parenti e amici, israeliani e palestinesi, di riflettere sulle persone che compongono questo paese, e su come il paese tenda a rendere le persone apolitiche e apatiche. Avishay ha trent’anni, fa il barista in un chiosco a Rotschild Boulevard, a Tel Aviv, ha studiato cinema, la sua tesi era un cortometraggio sulla fabbrica di scarpe di suo padre in un kibbutz al Nord che aveva chiuso e che suo fratello ha riaperto per farne un museo con fondi statali. Ha frequentato per tutta la sua adolescenza il figlio di Rony.

Rony ha sessantuno anni, separato con due figli, vive nel kibbutz Yiftah, ma spesso lavora e si ferma a Tel Aviv, fa l’impiegato presso la Netafim, azienda multinazionale leader a livello mondiale di prodotti per l’irrigazione; ha lavorato per molti anni in Africa, firmando contratti con numerosi governi, ha conosciuto molti capi di stato e Alpha Blondy. Dal 2000, il kibbutz in cui vive, è diventato privato, non ci sono più volontari, non c’è più la "casa dei bambini” e la dining hall. Ognuno fa la sua vita a casa sua, libero di comprare il tipo di televisione o di tostapane che vuole.
Moran, fidanzato della figlia di Rony, con la quale convive a Tel Aviv in un appartamento in affitto a Disendoff, si è laureato in cinema, ha partecipato a numerosi concorsi vincendo il premio del Cinemateque di Gerusalemme con il suo cortometraggio Mercedes, ambientato a Tiberiade. Adesso lavora per un’emittente americana come regista e al montaggio di programmi per cani.
Ilan studia Business and Management a Tel Aviv dove abita in affitto in una zona centrale e dove ha lavorato per cinque anni all’aeroporto Ben Gurion come addetto alla sicurezza di El Al. Da poco si è licenziato per viaggiare e avere più tempo per studiare, ma appena arrivato in Brasile suo nonno è morto quindi è tornato subito in Israele. È molto amico di tutta la famiglia di Rony.
Ofer ha vissuto quasi tutta la sua vita negli States, i suoi genitori si sono trasferiti quando lui era piccolo, poi è ritornato come Garin (volontario nell’esercito) all’età di vent’anni e adesso si e stabilito a Tel Aviv dove studia ed è stato uno dei principali organizzatori della "protesta delle tende”. È molto amico di Ilan e conosce la famiglia di Rony.

Cosa accomuna queste storie? Tutti loro hanno un Iphone e passano le serate a guardare Ha Ach Ha Gadol (Il grande fratello). Nessuno di loro sapeva che lo scorso dicembre un attivista palestinese è stato ucciso dall’esercito israeliano durante una manifestazione contro la costruzione della barriera di separazione, a Nabi Saleh, colpito da un gas lacrimogeno al petto lanciato da una distanza troppo ravvicinata.  Mustafa Al Tamimi non ha avuto neanche il bene di un funerale pacifico: ci sono stati ancora scontri tra esercito e partecipanti.
Questo è uno spaccato del quotidiano dell’Israele che rappresenta la maggioranza. Estraniamento, disinteresse, apoliticità, imbarazzo quando capita di parlare di guerra, esercito, occupazione il venerdì sera, nel corso della consuetudinaria cena dello shabbath, quando le tavole sono talmente imbandite di ogni bene da riempire il frigo di avanzi per giorni.

Poi però ci sono anche Dadi, Yair, Oren e Yonatan. Dadi, volontario per l’Avraham Found all’interno del programma Yasalam (per l’uguaglianza degli arabi e l’insegnamento dell’arabo parlato a scuola), vive vicino a dove lavora Avishai, conosce Yonatan. Parla inglese, arabo, ebraico, spagnolo, capisce un po’ l’italiano, ha fatto l’avvocato prima di essere attivista.
Yonatan, figlio di Rony, vive in Italia dal 2009, paga ancora la "social security” (bituah leumi) ma non ha più un conto corrente in Israele, nessuna proprietà. Fa il giardiniere, torna in Israele per le vacanze di Natale a salutare amici e parenti. Ha fatto il militare a Gaza, ma poi è riuscito a raggirare il servizio obbligatorio che prevede di essere richiamati una volta l’anno per un mese.

Oren, attivista di Anarchist Against The Wall, partecipa molto spesso alle manifestazioni contro la costruzione della barriera come fotografo e giornalista, si definisce attivista. Figlio di diplomatici che gli hanno fatto trascorrere l’adolescenza in giro per il mondo, frequenta i centri sociali di Tel Aviv, dove vive; ha un’amica in comune con Yonatan. Non ha fatto il militare, è stato arrestato più volte insieme ai suoi amici attivisti durante le manifestazioni.
Yair, che vive in Francia con la moglie, non lavora, riceve la disoccupazione dallo stato, ha un grande orto, due bambini e ama la campagna, è vegetariano. Ha lasciato il militare per problemi di depressione post trauma e non ha intenzione di tornare a vivere in Israele, se non per brevi periodi. È il fratello di Ilan.
Questa è l’altra Israele, o meglio, l’Israele di chi non ci abita più o non ne è protagonista, quella che crede non valga più la pena viverci per regalare 1125 giorni della propria vita all’esercito. Sono e si ritengono liberi.
L’estraniamento e il qualunquismo sono fenomeni comuni in situazioni di conflitto. La disinformazione ne è complice.
Oggi i palestinesi che vivono in Israele sono il 12% dell’intera popolazione, ma ricevono solo l’8% del budget totale distribuito dal governo centrale alle autorità locali che, come i nostri Comuni, hanno poi il compito di gestire i servizi locali, come la scuola, ecc. Tre quarti delle comunità definite dall’Israel bureau of statistics come "low income” sono costituite da palestinesi che vivono in Israele.
Nel 1998 si è registrato il record di deficit delle autorità locali palestinesi raggiungendo gli 800 milioni di shekel (circa 160 milioni di euro). La distribuzione della terra, che avviene attraverso l’Israel Land Administration, risente molto dell’influenza del Jewish National Found: quel 12% di cittadini palestinesi che risiedono in Israele sono proprietari solo del 3,5% della terra disponibile.
Mentre la guerra incombe, le barriere si innalzano e la libertà di manifestare di israeliani e palestinesi viene repressa da un ordine statale onnipresente, l’occupazione e le ingiustizie sociali non si limitano più ai palestinesi che hanno perso, dopo il 2002, la libertà di movimento, ma anche ai cosiddetti "arabi israeliani”. E qui ci troviamo di fronte a una guerra linguistica.

Se lo Stato li definisce così, ci sono studiosi come Daniel Monterescu, Dan Rabinowitz e Kawla Abu Baker che si ribellano a questa definizione, sostenendo che anche utilizzare questa etichetta è comunque una forma di discriminazione che non tiene conto delle radici storiche di questa minoranza.
Parlando di "arabi”, potremmo infatti riferirci a qualsiasi persona arabofona o che vive in uno dei tanti stati mediorientali in cui la lingua ufficiale è l’arabo, la religione l’islam. Si tratta invece delle terze generazioni di palestinesi che sono sopravvissuti al 48 e hanno deciso di rimanere in territori che l’Onu aveva affidato al nascente stato israeliano. Riferendoci a degli "israeliani”, parliamo di cittadini che al 100% possono usufruire dei diritti, quali casa, educazione, lavoro, cibo, libertà. Come abbiamo sopra descritto però le condizioni degli arabi israeliani non sono le stesse degli israeliani "tout court”. Ci sono studiosi che quindi preferiscono definirli "Cittadini Palestinesi d’Israele”. Minoranza che questi stessi studiosi definiscono "intrappolata” in quanto, non essendo palestinesi residenti nei Territori Occupati, ma non essendo nemmeno del tutto israeliani, hanno un’identità indefinita. Naturalmente non tutti stanno a guardare. Il movimento contro la costruzione della barriera, di cui Al Tamimi faceva parte, e che ho seguito molto da vicino alcuni anni fa a Betlemme, mantiene viva la speranza che qualcosa possa cambiare.

Le associazioni israeliane che sostengono questa lotta (Machsom watch, Icahd, Bet’selem, Peace Now, Anarchist against the wall, solo per citarne alcune) fanno la loro parte. A Bill’in, piccolo villaggio nei pressi di Ramallah, nel 2007 il movimento è riuscito a portare la questione alla Corte Suprema di Giustizia Israeliana e ad ottenere un seppur piccolo successo con la variazione del percorso del muro. Vedremo cosa ci riserva il nuovo anno, con Netanyahu al governo, l’espansione coloniale a Gerusalemme Est, il "movimento delle tende” e le proteste contro il muro.