In astratto, contribuenti ed evasori sono due categorie con interessi opposti e antagonisti. Più di trent’anni fa, un celebre economista, Antonio Pedone, ha intitolato un agile libretto sull’argomento: Evasori e tartassati (Il Mulino, 1979). Se i partiti politici aggregassero interessi materiali, dovremmo avere un bipartitismo perfetto: il partito degli evasori e il partito dei tartassati. Un sistema semplice. Come dicono i politologi: a somma zero, un tiro alla fune, quello che guadagnano gli uni lo perdono gli altri. La realtà, però, come sempre, è più complessa. Gli evasori puri, quelli che non pagano un euro di tasse e i contribuenti modello, quelli che pagano fino all’ultimo centesimo, sono due minoranze, neppure molto numerose, non so se raggiungono insieme il 20 % della popolazione adulta. In mezzo c’è tutta una gamma variegata, con tutte le combinazioni possibili: da coloro che pagano solo il 5% di quello che dovrebbero pagare a coloro che evadono solo il 5% del reddito percepito. In mezzo ci sono tanti furbi. Come mi ha garantito un assicuratore, se non ci fossero sinistri fasulli, combinati tra complici, i premi della Responsabilità Civile Auto potrebbero ridursi anche del 30%. Gli interessi di alcuni vanno a danno di tutti.
Potenzialmente siamo (quasi) tutti evasori, sia pure con intensità diversa e questo dipende da due fattori: il senso civico e le opportunità. Per quanto possa essere forte la tentazione di non pagare le tasse, molti non ne hanno proprio l’opportunità. I lavoratori dipendenti riescono ad evadere solo se hanno qualche altra fonte di reddito oltre al loro lavoro, magari una vecchia casa nel paesello d’origine da affittare qualche settimana ai turisti di passaggio nei mesi estivi. I lavoratori autonomi, invece, fanno molto più fatica a resistere alle tentazioni. Per loro, le opportunità di evadere sono assai più invitanti.
Una recente ricerca del Censis sulle opinioni degli italiani in materia di evasione fiscale (www.censis.it) ci dice che una cospicua maggioranza è ben consapevole della gravità del problema, ma le opinioni divergono su come affrontarlo. C’è chi vuole aumentare i controlli e gli accertamenti fiscali, chi ridurre le aliquote, chi semplificare il sistema.
La presenza di una categoria intermedia di evasori così ampia e così variegata impedisce la formazione del bipartitismo: evasori contro tartassati. Il conflitto non si gioca, o solo parzialmente, tra due categorie diverse. Il più delle volte è un conflitto interno alle stesse persone tra la coscienza civile e l’interesse pecuniario. Peraltro, spesso, il fisco è implicitamente complice quando facilita, a proprio danno, l’alleanza tra interessi diversi. Se l’idraulico che viene ad aggiustarmi il rubinetto mi fa lo sconto se lo pago senza fattura, la propensione a stipulare un patto di solidarietà contro il fisco (in realtà contro la collettività) risulta molto forte.
Tutte queste cose sono arcinote. Le biblioteche sono piene di volumi di scienza delle finanze dove il fenomeno è analizzato in lungo e in largo. Certo, non deve essere facile combattere l’evasione se ogni cittadino è potenzialmente un evasore, piccolo o grande che sia. La Guardia di Finanza dovrebbe essere un corpo di centinaia di migliaia di addetti e avere un confidente in ogni caseggiato per monitorare il tenore di vita di ogni cittadino (e poi, anche i finanzieri, sono "cittadini” e quindi potenziali evasori). La repressione è necessaria, ma non può essere capillare, se non si vuole cadere in una specie di stato di polizia.
Bisogna percorrere anche un’altra strada: ricostruire nella testa della gente l’idea che vi è una relazione tra le tasse che si pagano e i servizi che si ricevono. Il sospetto è che questo nesso, nella testa, sia scomparso o si sia indebolito. Molti chiedono allo stesso tempo meno tasse e più servizi e, soprattutto, servizi migliori. Che la qualità dei servizi lasci spesso a desiderare non è una novità ed è sacrosanto rivendicare maggiore efficacia ed efficienza. Ma non si deve perdere di vista il nesso tra entrate e uscite. Una volta ho chiesto ai miei studenti se sapessero quanto costa allo stato uno studente universitario, quasi tutti mi risposero indicando l’ammontare delle tasse universitarie pagate per iscriversi. Che lo stato (e quindi i contribuenti) spendesse ogni anno dieci volte tanto per garantire l’istruzione ad ognuno di loro era un’idea alla quale non avevano mai pensato. Anche perché nessuno si era mai preoccupato di farglielo sapere.
Insomma, per ridurre l’evasione ci vuole una strategia diversificata che combini misure a breve (inevitabilmente repressive) e misure a lungo termine che facciano leva su fattori culturali. Finché si potrà uscire dalla scuola a diciotto anni senza sapere nulla su come è fatto il bilancio del comune, della regione e dello stato in cui si vive, sarà assai difficile ridurre quell’ampia fascia intermedia dove piccoli e grandi evasori finiscono per risultare alleati.