Un sentimento di incertezza, inquietudine e quasi di paura del futuro si è insinuato di questi tempi nell’animo di molti italiani. Vi sono vari segnali che ci dicono che il fenomeno non è soltanto italiano. Il successo di partiti xenofobi in paesi tradizionalmente tolleranti come l’Olanda, la Svezia, la Danimarca può essere interpretato come effetto sul piano politico di una oscura paura, della percezione di una minaccia di perdere quel benessere e quella sicurezza conquistati, magari con fatica, nei decenni passati. Vi sono i movimenti sociali di coloro che lottano per conquistare quello che non hanno e quelli di coloro che lottano per non perdere quello che hanno. Può capitare che si tratti degli stessi gruppi sociali in fasi diverse della loro storia: in fasi di ascesa sono orientati alla conquista, in fasi di discesa (o di timore della discesa) sono orientati alla difesa e alla conservazione.
Stiamo attraversando un periodo di crisi, gli esponenti del governo (in primis il Presidente del Consiglio) cercano di minimizzarne la portata, la tenuta della famiglia, il grande ammortizzatore sociale del nostro paese, ne attenua gli effetti sulla vita di tutti i giorni, ma la crisi c’è ed è seria e coloro che lo dicono non sono profeti di sventura. Non è solo economica, ma anche sociale, politica e morale e alimenta uno stato d’animo diffuso assai pericoloso.
I periodi di crisi come il presente creano le condizioni favorevoli all’emergere di movimenti xenofobi e alla diffusione di sentimenti di intolleranza. Chi si sente minacciato, o è effettivamente colpito, ha l’esigenza di trovare delle spiegazioni, di identificare delle responsabilità, di attribuire delle colpe. Questi sentimenti sono poi contagiosi, si diffondono attraverso la porosità del tessuto sociale come una macchia sulla carta assorbente, generano opinioni e stati d’animo collettivi, spesso alimentati e amplificati dai media.
C’era da aspettarsi il riaffiorare di vecchi e nuovi pregiudizi a fondamento etnico e perfino razziale, il ricorso primordiale al meccanismo del capro espiatorio. L’altro viene vissuto come un pericolo potenziale, come un possibile concorrente per il lavoro, la casa popolare, i posti negli asili e nelle scuole, le cure sanitarie. L’altro viene inteso come un intruso "in casa nostra”, da rimandare possibilmente, al più presto, "a casa sua”.
Questa ondata coinvolge anche i giovani, anche se in misura un po’ inferiore rispetto alla popolazione adulta e anziana, per il semplice fatto che i giovani hanno un livello di scolarità un po’ più elevato ed è universalmente noto che l’intolleranza verso l’altro estraneo cresce al diminuire dell’istruzione. Un’indagine recente (condotta dall’istituto Iard Rps) ha messo in luce, e cercato di misurare su una scala di simpatia-antipatia, questi atteggiamenti verso gli "altri” nella popolazione giovanile tra i 18 e i 34 anni. I gruppi che attirano il massimo di antipatia sono i rom, i sinti, i rumeni e gli albanesi, seguiti da serbi, croati, bosniaci, arabi mediorientali (siriani, iraniani, iracheni, ecc.) e turchi. Per i giovani italiani la minaccia viene dall’Est, sembra quasi che riaffiori negli abitanti di questa penisola che taglia in due il Mediterraneo l’atavica paura dei "turchi” e dei pirati. Ma non è solo questo. Russi e cinesi appaiono un po’ meno antipatici, come i nord-africani, e gli indiani godono addirittura di una contenuta simpatia, come i centro-africani e i sud-africani. Non sono i popoli delle grandi potenze emergenti dell’Oriente (India e Cina) e neppure lo storico nemico dei tempi della guerra fredda (Russia) a generare le maggiori paure, quanto i popoli che provengono da zone di turbolenza, dove non funzionano efficacemente i meccanismi di controllo della violenza, o perché lo stato è in preda alla disgregazione o nelle mani di gruppi assetati di potere.
Non è quindi lo "scontro di civiltà”, di cui parlava Huntington, tra Islam e Occidente cristiano a generare i maggiori timori dei giovani italiani, quanto l’anarchia internazionale che domina in certe aree del pianeta.
La simpatia è riservata agli altri europei e agli americani del Nord, ma anche, a un gradino leggermente più basso, ai latino-americani (nonché ai gay e alle lesbiche che però rispecchiano un altro criterio di appartenenza).
Anche gli ebrei godono di simpatia contenuta, ma tra i giovani italiani resiste pur sempre un buon 20 % che nutre sentimenti anti-semiti, di cui un po’ meno di un ...[continua]

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