Tbilisi assomiglia molto a Torino, o a qualche altra bella città dell’Italia settentrionale, con un’unica differenza: è più povera. La capitale della Georgia è adagiata tra colli, vallate lussureggianti e fiumi, e le vecchie abitazioni ormai ricostruite sembrano accatastate sulle nude montagne. I nuovi centri commerciali si mescolano agli orrendi reperti dell’architettura sovietica, alle meravigliose chiese bizantine -alcune delle quali risalenti al quarto secolo dopo Cristo- e ad altri simboli e tracce del passato feudale. Ancora impegnata a riemergere dalle nebbie del comunismo, e dal conflitto di logoramento col vicino russo, Tbilisi ha recentemente ospitato un’interessante conferenza dal titolo: "Nazioni nascoste, crimini che durano: il Caucaso settentrionale tra passato e futuro” e dedicata al genocidio dimenticato dei circassi e di altri popoli caucasici. Un pubblico composto di attivisti della classe operaia, uomini d’affari e uomini politici si è addentrato in dibattiti arguti e spesso accalorati, assieme a studenti e accademici. L’impressionante elenco dei partecipanti includeva Andrè Glucksmann, attivista per i diritti umani e filosofo, e appassionanti studiosi della regione, come Robert Chenciner della Oxford University, esperto del Daghestan e di ricami Kaitag, e Frank Judd, lord inglese già presidente del Refugee Committee e attuale Rapporteur al Comitato Affari Politici sul conflitto in Cecenia per il Consiglio d’Europa.
Lord Judd ha fatto un’appassionata denuncia della repressione finora esercitata nella regione dalla Federazione Russa parlando della necessità che la stessa se ne assuma la responsabilità. Nessun relatore ha surclassato gli altri, cosa che invece accade spesso nelle conferenze negli Stati Uniti o in Europa. Forse ciò dipende dal fatto che in quest’occasione la posta in gioco era sia politica che culturale: la necessità di riconoscere il genocidio subito da una "nazione nascosta” e la ricerca da parte dei suoi appartenenti di un’autodeterminazione culturale e nazionale.
Il genocidio è un concetto legale di difficile dimostrazione, ma per ironia della sorte potrebbero essere proprio i dispacci ufficiali redatti per gli zar a fornire le prove necessarie a stabilire quanto accaduto nel Caucaso.
E’ inutile soffermarsi sull’alto valore simbolico dell’accertamento empirico di un genocidio E’ però altrettanto importante far maturare una consapevolezza non solo nella popolazione locale, ma anche nel resto del mondo, riguardo gli stermini di massa, le deportazioni e i tentativi di etnocidio che hanno rappresentato una parte fondamentale della politica russa nei confronti del Caucaso.
La tradizione di queste pratiche barbariche discende da antichi e dimenticati zar ottocenteschi, per giungere attraverso Stalin fino al conflitto che oggi si combatte in Cecenia, e che è già costato ben più di 200.000 morti: molti e validissimi i testi accademici presentati nel corso della conferenza che hanno documentato le atrocità perpetrate contro i differenti popoli indigeni del Caucaso.
Per ciò che può servire, quest’esposizione potrebbe fungere da campanello d’allarme per i leader politici russi, affinché modifichino le loro strategie e informino di democrazia sostanziale quella che appare come una federazione solo a livello formale.
Il Caucaso è adagiato tra il Mar Nero e il Mar Caspio, e si estende dall’Azerbaigian al sud, fino alla Georgia, la Cecenia e la Nuova Ossezia al nord. Molti dei suoi abitanti hanno patito terribilmente il regime staliniano: tutti conoscono perfettamente la sorte delle vittime dell’olocausto, ma quelle dei Gulag non hanno ancora ricevuto il tributo che meriterebbero. Pochi, fuori dal Caucaso, hanno sentito parlare dei circassi, e ciò nonostante comunità della diaspora esistano in Israele, Giordania, Siria, Turchia e diversi Stati democratici occidentali. Il mondo ha finora ignorato il genocidio subito da questo così come da altri popoli del Caucaso, al pari di quello inflitto ai nativi americani dagli Stati Uniti e ai popoli indigeni dell’America Latina dalla Spagna.
Lidia Luposova -per due volte candidata al Premio Nobel per la Pace- ha fatto inorridire il pubblico quando ha mostrato le foto che documentano il destino riservato alle vittime cecene -in gran parte bambini- dalle forze di sicurezza e dell’esercito russi. La signora Luposova, leader riconosciuta della sezione di Grozny dell’organizzazione russa Memorial, coraggiosa militante per i dir ...[continua]

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