15 marzo 2010. Ru 486
Desiderano che la pillola abortiva faccia male perché desiderano che l’aborto continui a far male. Sono malvagi?

23 marzo 2010.
Il miracolo della crescita africana
Mentre i paesi asiatici e dell’America latina stanno emergendo prepotentemente, le cifre sulla crescita dei paesi africani ci offrono un quadro quasi deprimente, aggravato dall’allarme legato ai cambiamenti climatici che rischiano di peggiorare ulteriormente la condizione di povertà di questa regione.
Ora però da più parti vengono avanzati dei sospetti sulla correttezza dei dati utilizzati, un po’ per la difficoltà di raccoglierli, un po’ perché i sistemi di misura tradizionali non prendono adeguatamente in considerazione l’economia informale. Quattro economisti, due dei quali del Fondo Monetario, Simon Johnson, William Larson, Chris Papageorgiou e Arvind Subramanian, in un documento presentato lo scorso autunno mostrano come l’attualizzazione e revisione dei dati porti a statistiche assolutamente differenti. Ad esempio, secondo le cifre disponibili nel 2002, il Pil della Guinea equatoriale sarebbe cresciuto del 4% all’anno tra il 1975 e il 1999, mentre indagini più recenti e aggiornate rivelano nello stesso periodo una decrescita.
Le fonti classiche sono insomma pressoché inutilizzabili per valutare l’andamento di questi paesi. Per l’Africa serve un nuovo metodo di misura della crescita.
Una possibile soluzione è stata presentata recentemente in un seminario a Parigi da Alwyn Young, della London School of Economics. Il titolo della sua proposta di revisione non lascia spazio a equivoci: "Il miracolo della crescita africana”. L’idea di Young focalizza la propria attenzione sui consumi, in breve sull’accesso ai confort della vita moderna, gli elettrodomestici, la tv, ecc. La batteria di dati che ha preso in considerazione comprende quattro categorie: primo, il possesso di elettrodomestici e mezzi di trasporto e di comunicazione (radio, tv, frigo, auto, bicicletta, telefono); secondo, le condizioni dell’alloggio (elettricità, acqua potabile, acqua calda, arredamento); terzo, alimentazione e salute dei bambini; infine, l’uso del tempo, la scolarizzazione dei bambini, l’occupazione femminile...
A partire da questi indicatori alternativi, la stima della crescita dell’Africa subsahariana dal 1990 sarebbe tre volte superiore ai tassi abitualmente accettati. Se questi dati si rivelassero corretti -come in effetti pare- ne uscirebbe che i paesi dell’Africa subsahariana stanno registrando tassi di crescita non così diversi da quelli dei paesi in via di sviluppo degli altri continenti. Questo risultato sarebbe oltremodo notevole tenuto conto dei costi umani e economici dei conflitti armati e dell’epidemia di Aids che flagellano questi paesi.
Philippe Askenazy, ricercatore del Cnr, e autore dell’articolo, conclude ricordando che evidentemente tutto ciò non significa che l’Africa non sia una delle regioni più povere della terra. Significa però che non c’è più ragione di farsi prendere da uno scorato fatalismo quando si parla dell’Africa.
(www.lemonde.fr)

29 marzo 2010. Pensando alle elezioni
Prima di trarre conclusioni dai risultati elettorali bisognerebbe mettersi d’accordo su un presupposto: Berlusconi, in tutti questi anni, ha fatto prendere voti al centrodestra o ne ha fatti perdere? Nella prima ipotesi, quella che metà dell’elettorato italiano ami Berlusconi, saremmo all’"eterno fascismo italiano” e alla sinistra non resterebbe che cercare di raffazzonare un qualche Cln che possa far conquistare il vantaggio di un senatore, con quali prospettive s’è poi già visto; se riuscisse poi, nel contempo, a evitare di metter su la boria moralista da "barone universitario di sinistra che si vergogna andando all’estero” sarebbe già una gran cosa; nella seconda, quella che la destra, senza Berlusconi, sarebbe oltre al 60 per cento, perché in questi anni ha saputo interpretare e rappresentare, sia pure in malo modo, le aspettative, le speranze, gli interessi, le frustrazioni, di buona parte della società, la sinistra, pur se votata per un bel po’ a sicura sconfitta, avrebbe tantissimo da fare. Forse i risultati fanno propendere per la seconda?

30 marzo 2010. Pensando alle elezioni
Smettiamola anche con questa storia del corpo del capo, e pure dei corpi che lo circondano, che non si capisce mai di cosa si parla. Le elezioni le ha vinte un signore con un corpo menomato. E questo fatto, almeno, merita rispetto.
31 marzo 2010. Pensando alle elezioni
Per chi ha sempre pensato che il successo della destra di questi anni, e l’insuccesso della sinistra, sia dipeso dal centralismo, dal regolismo, dallo statalismo, dal burocratismo di quest’ultima, di cui i mancati conti con il proprio passato sono sia causa che conseguenza, non fa specie il grande successo della Lega.
Ora, però, la Lega rischia di diventare la nuova democrazia cristiana, un partito alla Bisaglia, che userà "Roma ladrona”, come già sta succedendo, per favorire le proprie regioni. Rischia di perdere, cioè, gran parte della sua carica "rivoluzionaria”. Per la sinistra si aprirebbero grandi spazi, ma per una sinistra radicalmente riformista in senso federalista e municipalista, nordista e meridionalista, e fortemente anticentralista.
Non solo, ma un patto della Lega col Vaticano fondato sulla concezione blasfema di un cristianesimo come patrimonio etnico, le creerà problemi con le donne, con chi ha una visione laica e moderna della società, finanche con tanti cristiani, il che aprirebbe altro spazio per una sinistra coerentemente e apertamente laica.
Infine, alla lunga, un altro grave problema l’avranno con la xenofobia. E’ un bagaglio di cui probabilmente cercheranno di sbarazzarsi, ma con gravi difficoltà visto l’ingombro accumulato: una sinistra con più coraggio nel disegnare un futuro, comunque ineluttabile, di una società multietnica e multiculturale, assolutamente vitale per noi, non avrebbe che da approfittarne. Ma…

31 marzo 2010. Una data da segnare
Nonostante non compaia la parola "genocidio” e, come ha ricordato Sonja Biserko dell’Helsinki Committee for Human Rights, sia forte il sospetto che più del rimorso abbiano contato le pressioni dell’Unione europea, forse il 30 marzo è comunque una data da ricordare.
Sul sito della radio B92 di Belgrado si legge che dopo 13 ore di discussioni, lo scorso martedì il parlamento serbo ha adottato una dichiarazione di condanna dei crimini commessi a Srebrenica nel 1995.
Dei 250 deputati, una maggioranza di 127 (uno solo più dei 126 necessari) ha votato a favore. Tra gli altri presenti, 21 hanno votato contro e uno si è astenuto. I rappresentati dell’Srs, il Partito Radicale Serbo e dell’Ldp, il Partito Liberal Democratico, non hanno votato. I membri del Dss, il Partito Democratico Serbo, del Ns, Nuova Serbia e del Sns, il Partito Progressista serbo, hanno votato contro.
(www.b92.net)

1 aprile 2010. Facebook e gli psichiatri
Sul Washington Post Dana Scarton ha dedicato un lungo articolo a come Facebook e i motori di ricerca stiano sconvolgendo la prassi di psicologi e psichiatri.
Damir Huremovic, psichiatra, racconta di essersi trovato di fronte a un vero dilemma morale quando un amico di un suo paziente che aveva tentato di togliersi la vita gli ha inviato via mail il testo di un messaggio in cui veniva annunciato il suicidio con un link al suo blog. Poteva andare a leggere i post del suo paziente senza il suo consenso?
Huremovic ha deciso che sì, poteva, si trattava di un blog pubblico e lui avrebbe potuto trovare qualche indicazione anche per il trattamento. Quando però il medico ha iniziato a sfogliare l’album di fotografie e alcuni post personali del paziente, ha iniziato a sentirsi a disagio: aveva forse oltrepassato una qualche linea che non andava superata?
Pare che in giro per gli Stati Uniti, molti terapeuti stiano affrontando dilemmi simili.
Quando il dottor Huremovic lo scorso anno si è trovato a raccontare questo episodio al congresso dell’American Psychiatric Association ha avuto reazioni molto diversificate.
L’enorme quantità di informazioni personali reperibili in internet rischia infatti di alterare quel rapporto unico e in qualche modo sacro che è la relazione paziente-terapeuta.
In passato le informazioni emergevano solo dal dialogo vis-a-vis. Se lo psicologo voleva consultare familiari o amici doveva chiedere il permesso. Non solo: mediamente il paziente sapeva poco o nulla del suo terapista.
Tutto questo apre degli interrogativi: un terapeuta può fare una ricerca in internet sul proprio paziente? E’ appropriato che un terapeuta metta in rete delle informazioni personali?
Forse la risposta sta come sempre nel buon senso: il problema non è il mezzo, ma come lo si usa, se è fatto in modo responsabile (e non per mera curiosità), è concesso.
C’è però chi resta scettico e anche quando è il paziente a suggerire di leggere il proprio blog accetta di farlo solo assieme a lui, perché tutto deve avvenire in quel setting.
Altri al contrario considerano grave che un terapeuta non utilizzi tutte le informazioni a sua disposizione, sarebbe una forma di negligenza.
Resta il problema dell’altra faccia della medaglia: quando è il paziente a cercare in rete informazioni sul proprio terapeuta.
Per Huremovic, che ha 39 anni, è più sicuro star lontani dai social network. I colleghi più giovani però non sono d’accordo, Facebook fa parte della loro vita e non ci stanno a rinunciarci. Qualcuno ha trovato come compromesso la proibizione (comunicata e condivisa) ai pazienti passati e presenti di contattarla via social network. Resta il fatto che un incontro paziente-terapeuta in rete ha ben altra portata di un casuale incrociarsi al ristorante e che le implicazioni sul piano terapeutico, ma anche etico, restano da indagare.
(www.washingtonpost.com)

2 aprile 2010. Gaza a lume di candela
Max Ajl, scrittore e attivista di Brooklyn attualmente a Gaza, su www.truthout.org racconta delle condizioni della popolazione dei campi da quando Israele impedisce l’ingresso nella Striscia del carburante necessario ad alimentare la centrale elettrica già bombardata nel 2006.
"Di notte, a Gaza, negli stretti vicoli dei campi riecheggia un suono martellante nell’oscurità. E’ il rumore dei piccoli generatori. Le famiglie e molti negozi nei campi e nelle città, si appoggiano a tali dispositivi portatili per avere l’elettricità durante le continue interruzioni che affliggono la Striscia di Gaza. Sono un misero surrogato dell’energia fornita dalla centrale elettrica, o meglio: lo sarebbero, se tutti a Gaza potessero permetterseli. Ma non è così, specie per le famiglie che vivono nei campi profughi, costrette a contare sulle candele. Come la famiglia di Abdel Karim, che vive nel campo profughi di Jabaliya, un labirinto super-affollato e il più esteso degli otto campi profughi di Gaza. Secondo l’Unrwa (United Nations Relief and Works Agency) ospita 108.000 persone, il 10% della popolazione di Gaza. La densità della popolazione di Jabaliya è di 74.000 esseri umani per chilometro quadrato.
Sono entrato nella casa di Abdel Karim circa alle otto e mezza di sera. Il sole era tramontato da un po’. La stanza era illuminata debolmente. Di fronte a me c’erano tre piccoli tavoli alla giusta altezza perché dei bambini possano lavorarci stando inginocchiati a terra. I quattro figli di Abdel erano allineati accanto a questi tavoli: tre figlie, Maram, 13 anni, Imam, 10 anni, Riham, 8 anni e infine Mohammed, di 6 anni. I tavoli sono stati messi assieme con dei rottami -due erano semplici ripiani di legno su materiale da imballaggio. Il terzo è costituito da una lastra di metallo piazzata su un banchetto. Sui tavoli ci sono alcune candele. Ma non bastano. Non bastano perché con uno shekel -Gaza usa la moneta israeliana- puoi comprare due candele. Le candele bruciano piuttosto velocemente, e quando una famiglia non ha quasi alcuna entrata, la differenza tra due e tre candele accese non è irrilevante. Le due candele producono una luce estremamente pallida, sotto la quale i figli di Abdel cercano di fare i compiti per casa, scrivendo sui loro quaderni, mentre il padre li guarda…” [continua]
(traduzione di Mariano Mingarelli)

2 aprile 2010. Perdere il lavoro
Dopo averne scritto su Mente e Cervello, Daniela Ovadia, giornalista scientifica, ha deciso di riportare nel suo blog parte della sua ricerca sugli effetti psicologici della disoccupazione, in particolare per quanto riguarda la perdita del proprio ruolo sociale. Il pezzo è ricco di stimoli, si parla di welfare, delle "fasi della disoccupazione”, della differenza tra i sessi, ma interessanti sono anche i commenti ricevuti. Si va da "Peppe” che confida di essere disoccupato da nove mesi ("Sto per disdire il dopo-scuola di mio figlio”), che come terapia ha aperto un (bel) blog (http://peppe-liberti.blogspot.com) in cui parla di Fisica, ma non solo, a Gianni, cinquantenne del Nordest, che il 2 aprile ha scritto: "Sono cresciuto con il culto del lavoro e del fare, studiare-applicare-fare. Partendo da condizioni familiari di povertà i miei genitori, dopo la guerra, iniziarono a realizzarsi, abbandonando la terra o meglio il latifondo e iniziando un’attività artigianale... Negli anni mi sono diplomato (di più non si poteva ) ho lavorato come operaio e poi con altri soci, giovani come me, nei primi anni ‘80 abbiamo fondato una ditta di impianti e con questa siamo arrivati a tre anni fa… ora da solo mi ritrovo con la crisi e i problemi connessi che ben sappiamo. Sono in crisi anche io, inizio a cercare un lavoro dipendente… prima ero in un gruppo dove organizzavo, correvo, mi confrontavo con varie entità: i dipendenti, i clienti, i concorrenti, i collaboratori, i fornitori. Non si sono persi tutti ma mi manca molto il ritmo dell’attività. I miei tempi si sono dilazionati, mia moglie lavora, non abbiamo figli, aiuto in casa, sono stato abituato da mia madre, nel tempo libero collaboro in un gruppo di Protezione Civile, mi dà la vita. Oltre al fattore economico -si vive, non ho pretese, mi basta poco- entra in ballo il fattore identità. Già dai primi contatti con le agenzie di lavoro capisco che il mio lungo curriculum non interessa più di tanto, certe competenze forse non servono. Oops, speriamo che sia l’età… Mi riciclo come operaio? Ma se hai la mentalità dell’imprenditore, nel senso di intraprendere-fare, ti vorranno in un posto dove… fai quello senza discutere e basta”.
(http://ovadia-lescienze.blogautore.espres­so.repubblica.it)

3 aprile 2010. Romano, Antonio, Camillo…
Si chiamava Romano Iaria e aveva 50 anni l’uomo che la notte scorsa si è impiccato nella Sezione adibita a "Casa di Lavoro” del carcere di Sulmona (AQ). Era tossicodipendente e sieropositivo, oltre a soffrire di altri gravi problemi di salute. Nella stessa Sezione, lo scorso 7 gennaio si è impiccato il 28enne Antonio Tammaro: entrambi si trovavano reclusi non per scontare una pena ma perché sottoposti ad una "misura di sicurezza detentiva”, quella appunto dell’internamento in Casa di Lavoro. Ma le coincidenze tra i due suicidi non terminano qui: infatti sia Iaria che Tammaro si sono uccisi la notte successiva al loro rientro da un permesso trascorso con i familiari, ai quali non avevano manifestato nessun segno di particolare disagio. Forse, quindi, le ragioni della loro fine sono da ricercarsi proprio nelle condizioni disperanti dell’internamento nella Casa di Lavoro dove, nonostante il nome, di lavoro non ce n’è proprio e ai "normali” disagi del carcere, come il sovraffollamento (nella Sezione in cui si sono uccisi ci sono oltre 200 persone, stipate in 100 posti), si aggiungono quelli di una "pena impropria”, che viene "aggiunta” a quella comminata per la commissione di un reato se il condannato è ritenuto "socialmente pericoloso”.
Si tratta di uno strumento giuridico introdotto in epoca fascista (dove veniva largamente utilizzato anche contro gli oppositori politici) e poi rimasto come "residuo” nel nostro ordinamento: recentemente se ne è interessata l’On Rita Bernardini (Radicali-Pd), che in un passaggio nella Mozione 1-00288 ha chiesto al Parlamento di limitare l’applicazione delle misure di sicurezza ai soli soggetti non imputabili (abolendo il sistema del doppio binario) o comunque di adottare degli opportuni provvedimenti legislativi volti ad introdurre una maggiore restrizione dei presupposti applicativi delle misure di sicurezza a carattere detentivo, magari sostituendo al criterio della "pericolosità” (ritenuto di dubbio fondamento empirico) quello del "bisogno di trattamento”.
La Mozione è stata in parte approvata lo scorso febbraio, ma la richiesta di limitare l’utilizzo delle misure di sicurezza è stata bocciata. [...] Con il suicidio di Romano Iaria salgono a sedici i detenuti che si sono tolti la vita da inizio anno nelle carceri italiane.
Nel carcere di Sulmona si tratta dell’undicesimo suicidio in 10 anni, fra i quali anche quello della direttrice Armida Miserere, che si tolse la vita il 19 aprile del 2003 sparandosi un colpo di pistola alla testa, e quello del sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, trovato nella sua cella il 16 agosto del 2004 soffocato da un sacchetto di plastica stretto alla gola da lacci per le scarpe. In tutti gli altri casi, i detenuti sono morti impiccati.
(Ristretti Orizzonti)

4 aprile 2010. Cena a Long Beach
L’11 febbraio del 2010 si è tenuta a Long Beach, California, una cena a cui hanno partecipato più di 80 persone, imprenditori, pionieri della tecnologia, studiosi, da Larry Brilliant (Oms) a Sergey Brin e Larry Page (fondatori di Google), a Bill Joy (cofondatore della Sun Microsystem, considerato il miglior programmatore del mondo, famoso per le dichiarazioni sulla pericolosità delle nuove tecnologie e per l'invito ad interrompere le ricerche), da Bill Gates a Kary Mullis (Nobel per la chimica nel 1993, dissidente sulla teoria del virus Hiv), da Jeff Skoll (primo presidente di eBay) a Jeff Bezos (ceo di Amazon), da Daniel Kahneman (Nobel nel 2002 in scienze economiche) a Evan Williams (ceo Twitter); e ancora rappresentanti delle maggiori testate giornalistiche.
La cena, organizzata da Edge, sito fondato da John Brockman (il cui motto è "per arrivare al vertice della conoscenza mondiale, cerca le menti più sofisticate e complesse, riuniscile in una stanza e fai in modo che pongano agli altri le questioni su cui si stanno interrogando”) ruotava attorno a una domanda cruciale: internet come sta cambiando il nostro modo di pensare?
Guardando i partecipanti alla cena e la loro biografia e sentendo del dibattito in America, sull’oggi e sul futuro, che ha come protagonisti due generazioni diverse, vien da chiedersi: se il 68 americano, un movimento sviluppatosi senza comunismo, non abbia prodotto frutti ben diversi dai nostri portando i suoi protagonisti a saldare la ribellione delle menti di allora con la nuova generazione di inventori nata dalla rivoluzione digitale; se la "terza cultura”, concetto e parola inventata da John Brockman (nata dal superamento dei recinti fra cultura scientifica e cultura umanistica), tema che riecheggia da qualche tempo nella stampa internazionale e di cui parla anche Bruno Giorgini nell’intervista di questo numero, non sia una questione che ci riguarda da vicino e in che modo; e infine: che posto avranno le donne e la visione femminile in questa "new age of wonder”, nuova era di meraviglia, e nel dibattito sui rischi e le opportunità che ci riserva la prossima decade?
(Fausto Fabbri)

7 aprile 2010. Sostituto d’imposta
Giorgio Fidenato, imprenditore di Pordenone, insieme al Movimento Libertario, dal gennaio 2009 ha intrapreso una battaglia contro il Fisco e lo Stato Italiano contro il sostituto d’imposta, ovvero l’obbligo, per ogni datore di lavoro, di pagare le tasse per conto dei propri dipendenti.
Insofferente di una sorta di discriminazione tra i lavoratori autonomi (che dispongono interamente del loro reddito e sono chiamati personalmente a versarne una quota allo Stato) e i lavoratori dipendenti (che invece sono esautorati da questo diritto-dovere e spesso neanche conoscono la quota del loro reddito che va allo Stato), di comune accordo con i lavoratori ha deciso di smettere di fare da sostituto di imposta per conto dello stato, di operare come agente del fisco, per di più gratuitamente, e quindi ogni mese consegna ai propri dipendenti l’intera somma lorda del loro stipendio. Le tasse, se vorranno farlo, dovranno pagarle direttamente i dipendenti.

9 aprile 2010. Pensando alle elezioni.
Raccontano che Andrea Costa prima di partire per Roma si preparasse un panino da mangiare in treno. Anche allora i treni erano gratis per i deputati. La differenza era che questi non percepivano alcuno stipendio.
Quando la sinistra capirà che un punto d’onore del suo programma dovrebbe essere il varo di una legge per un impoverimento drastico dei deputati, nazionali e regionali, e che, nell’attesa, certamente assai lunga, di una sua approvazione, quell’obiettivo andrebbe messo in pratica unilateralmente, sarà il segnale che qualcosa cambia. L’altro sarebbe se tornassimo tutti a intendere, compresi i numerosi seguaci dei nuovi predicatori, che le regole morali a cui attenersi non le dettano i vari codici, bensì gli statuti.