... Mussolini, in quei mesi, ebbe un momento di lucido intervallo, e si dolse che i fascisti non fossero riusciti in nessun luogo, in Italia, a creare un movimento partigiano alle spalle delle truppe anglo-americane. A quella melanconica osservazione dell’Uomo della Provvidenza che aveva sempre ragione, noi possiamo aggiungerne un’altra: ed è che la così detta repubblica sociale di Salò non produsse e non produrrà mai libri come l’Antologia della Resistenza, di cui vi ho già parlato, o come le stupende Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana, raccolte da Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli. Il fiore dell’eroismo e della poesia non nasce sul terreno dell’ingiustizia, della menzogna e della brutalità.
Sfuggiva al Duce che era questa assenza di motivi ideali una delle ragioni per cui non esisteva in Italia un movimento partigiano fascista. E gli sfuggiva anche un’altra spiegazione, la quale stava nel fatto che i fascisti e i tedeschi non avrebbero trovata nessuna assistenza fra i contadini italiani. Invece il partigiano antifascista e antitedesco trovò sempre una casa di contadino, in cui le donne lo nascosero, lo rifocillarono, lo fasciarono ferito, lo informarono del momento buono per mettersi di nuovo allo sbaraglio.
Assistere un partigiano era sfidare una condanna a morte. Furono migliaia i contadini italiani che in quei mesi sfidarono le condanne a morte. Anche quando il partigiano era un poco di buono (e ce ne furono dei poco di buono) il contadino non lo denunciò, perché, tutto compreso, anche quello là, per quanto gli portasse via i polli, per quanto commettesse prepotenze anche peggiori, serviva una causa degna di essere servita. Senza l’assistenza dei rurali italiani, il movimento partigiano non sarebbe stato possibile.
Per misurare l’azione compiuta dai rurali in quei mesi di guerra antifascista e antitedesca, bisogna tener presente anche l’assistenza da essi data ai prigionieri di guerra fuggiti dai campi di internamento nel settembre del 1943.
Due ufficiali inglesi che parlavano per esperienza personale, in una lettera al Manchester Guardian del novembre 1945, scrissero: "E’ molto difficile, per chi non fu sul posto, capire quanto gli uomini e le donne italiane fecero per noi; è difficile rendersi conto dell’immenso debito di gratitudine, che abbiamo verso la loro gentilezza, umanità e coraggio. In una sola piccola vallata, dal settembre 1944 ai febbraio 1945, gli italiani dettero rifugio e nutrirono non meno di 150 prigionieri inglesi, americani e polacchi, li protessero dalle ricerche nemiche, e li guidarono fino alla linea del fuoco, perché rientrassero nei loro ranghi. Ciò facendo, quella gente si esponeva continuamente a tragiche rappresaglie personali e collettive. Un intero villaggio fu messo a fuoco e raso al suolo, perché i nazisti erano venuti a sapere che alcuni prigionieri inglesi erano stati fraternamente accolti e ricoverati. In quella zona di circa otto miglia quadrate, scarsamente abitata, furono distrutte più di 350 case per rappresaglia. Un prete di oltre 80 anni venne fucilato sulla porta della chiesa da soldati nazisti, solo perché aveva dato asilo per due notti a un ufficiale inglese, prigioniero di guerra fuggitivo”.
I soli prigionieri di guerra inglesi soccorsi da italiani in quei mesi furono cinquantamila. Ed ognuno di essi poteva significare una condanna a morte. Quanti prigionieri di altre origini siano stati soccorsi, nessuno sa.
Le città si prestavano meno a quell’opera di assistenza, perché entrarvi e rimanervi senza dare nell’occhio era più pericoloso che disperdersi nelle campagne. Perciò in questo settore della Resistenza la palma deve essere data al nostro contadino. Si dirà che il contadino non badò a fedi politiche o ad origini nazionali, ma operò per carità cristiana. Il nostro popolo ha tutti i difetti del mondo, ma ha una dote che ne compensa gli infiniti difetti: una umanità che non si trova in egual misura in nessun altro popolo della terra. Ignazio Silone ha raccolto il caso di quella vecchia che nel contado di Piacenza nascose un prigioniero croato e fu processata per quel delitto. Il giudice le domandò: "Conoscevate prima quell’uomo?”. "Nossignore”. "Sapevate che era un croato?”. "Nossignore”. "Sapevate che era un nemico?”. "Nossignore”. "E allora perché lo nascondevate?” .”Perché anche quello era un figlio di madre”.
Io ho conosciuto un giovane scultore iugoslavo, che il 9 settembre fuggì come tutti gli altri da un ...[continua]

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