8 febbraio 2010. Bambini multitasking
Su Apogeonline, Gabriella Longo dedica un lungo articolo ai bambini della Net Generation, quelli che passano ore con i dispositivi elettronici. Una recente ricerca condotta negli Stati Uniti dalla Kaiser Family Foundation rivela che i bambini trascorrono oltre sette ore al giorno con computer, iPod, smartphones e console. Di fronte a un tale scenario in particolare gli psicologi avanzano perplessità. Questo continuo stare in contatto con gli altri "virtualmente” non nasconderà un’incapacità a gestire relazioni vis-a-vis?
Secondo gli stereotipi, le attività online rubano tempo allo sport e alle conversazioni faccia a faccia, per non parlare dei videogiochi violenti che le Mothers Against Videogame Addiction and Violence assimilano all’abuso di droga e alcool. E poi ci sono i disturbi da deficit di attenzione che sempre più insegnanti lamentano. Insomma, alcuni studiosi la definiscono una generazione allo sbando. C’è però anche chi, invece, come John Seely Brown, enfatizza gli aspetti positivi: un’alfabetizzazione conseguita con diverse forme di intelligenza, per esempio quella visuale e sociale e un ruolo sempre più attivo della costruzione del sapere. I giovani oggi non sono più solo destinatari di informazioni, ne sono anche creatori e diffusori. Ma la vera novità -positiva- è forse che i bambini di oggi sono multiprocessing, cioè riescono a fare diverse cose contemporaneamente e non per questo si distraggono, contrariamente a ciò che possono pensare gli adulti. Il modello applicato dai bambini che utilizzano i media digitali sarebbe più vicino a quello che Lévi-Strauss chiama bricolage: la capacità di trovare un oggetto, un documento o un attrezzo e di utilizzarlo per costruire ciò di cui si ha bisogno.
Anche l’apprendimento si è ribaltato. Non è come una volta che prima di fare una cosa bisognava aver letto il manuale, i giovani di oggi devono "sporcarsi le mani”, provare e riprovare, fare pratica insomma. In questo modo l’apprendimento diventa situato (basato sulle azioni), sociale, cognitivo e tutt’altro che astratto.
Anche l’accusa per cui scrivere sms produce un analfabetismo di ritorno viene messa in discussione: alcuni ricercatori inglesi hanno condotto uno studio su bambini dagli 8 ai 12 anni notando una forte correlazione tra l’utilizzo di un linguaggio abbreviato per scrivere sms e il miglioramento delle loro abilità linguistiche.
Il vero punto dolente sta forse nell’incompetenza dei genitori: da una ricerca emerge che il 60% dei bambini dichiara di mentire su ciò che sta guardando online e più della metà ammette di cancellare la cronologia dal browser in modo che i loro genitori non possano conoscere i siti visitati.
(www.apogeonline.com)

10 febbraio 2010. Date grottesche
La scelta delle date da ricordare, per una persona o per una nazione, è importante.
Gli anniversari che festeggiamo dicono molto di noi, del nostro carattere e delle nostre esperienze. Le ricorrenze che, da qualche tempo, ci vengono imposte dai nostri sgangherati governanti ne dimostrano tutta la pochezza intellettuale. Oggi si celebra il "giorno del ricordo” che meglio sarebbe chiamare "giorno dell’amnesia collettiva”, perché, se si volevano ricordare le vittime della guerra fascista, si doveva prendere come data quella del 10 giugno 1940, quando Mussolini ci trascinò nell’abisso della Seconda Guerra Mondiale. L’avere invece scelto il giorno in cui, nel 1947, De Gasperi firmò il Trattato di Pace dimostra tutta l’ignoranza e la protervia del nostro governicchio.
Un paese che ha commesso crimini di guerra in Libia, Etiopia, Spagna, Jugoslavia, Russia e Grecia dovrebbe meditare sul suo passato e non atteggiarsi a vittima.
Ma questo presume l’esistenza di una classe dirigente.
(Claudio Giusti)

23 febbraio 2010. Augmented Reality
Al Mobile World Congress di Barcellona è stato presentato un software con cui puntando un cellulare smart verso una persona, un qualunque sconosciuto, si possono sapere i suoi dati (nome telefono ecc.). Il prototipo, sviluppato da The Astonishing Tribe (Tat), azienda svedese, opera combinando varie tecnologie come computer vision, il cosiddetto "cloud computing” (la tecnologia che permette di utilizzare hardware o software in remoto), il riconoscimento facciale, il social networking, e la "augmented reality” (ovvero la "realtà aumentata” con altri livelli informativi multimediali -è ad esempio l’applicazione dei telefonini che ci permette di sapere dove siamo e che ristoranti o negozi ci sono nei paraggi). Nello specifico, la telecamera del cellulare, acquisisce misure e proporzioni del viso dell’interessato e costruisce un modello in 3d che viene poi inviato a un server dove viene messo a confronto con i modelli presenti nel database, e nel caso associato ai dati che lo identificano, il cosiddetto "profilo”. In pratica l’idea è di portare nella vita reale la modalità di incontro e dialogo oggi possibile con i vari social network, in primis Facebook. Dan Gärdenfors, il coordinatore dell’esperimento, rassicura anche sulla questione della privacy, spiegando che l’applicazione "Recognizr” sarà comunque condizionata a una sorta di liberatoria del soggetto che inserisce i propri dati.
A leggere però i commenti all’articolo, tra l’incuriosito, lo scandalizzato e il terrificato, la questione è tutt’altro che risolta.
(www.technologyreview.com)

24 febbraio 2010. Il detenuto n. 49
Il primo dei cinque detenuti del carcere statunitense di Guantanamo (quota massima che la Spagna dovrà accogliere), è arrivato questo pomeriggio a Madrid. Si tratta di un cittadino palestinese, nato a Gaza e vissuto in Arabia Saudita e in Pakistan.
L’uomo godrà di libertà di movimento in Spagna, ma non potrà viaggiare in nessun altro paese dell’Unione Europea né del resto del mondo, come disposto dai paesi membri della UE quando hanno acconsentito ad accogliere i detenuti di questo carcere, affinché venisse chiuso. I detenuti di Guantanamo saranno accolti in Spagna "nel rispetto del diritto”, con un permesso di soggiorno e la possibilità di lavorare. Non sono stati divulgati elementi sull’ex detenuto di origine palestinese, "per motivi di sicurezza”. Va rispettato il suo diritto alla privacy, in modo che possa rifarsi una vita.
Sappiamo che l’ex detenuto si chiama Walid Hijazi e la sua scheda afferma che è stato addestrato nello stesso campo di diversi responsabili degli attentati dell’11 settembre.
Ormai da dieci anni Walid Hijazi abitava a Jan Yunes, a sud di Gaza. Lavorava come falegname, ma la famiglia non aveva i mezzi per avviare un’attività, e così Walid fece rotta per La Mecca. Due anni più tardi, i suoi famigliari ricevettero una lettera spedita dalla "Us Naval Station, Guantanamo Bay, Cuba”. Walid Hijazi è uno dei terroristi islamici che, nel gennaio del 2002, ha inaugurato il carcere di Guantanamo: il detenuto n. 49 del discusso centro di reclusione creato da George W. Bush, e che ora Barack Obama sta provando a smantellare.
(www.elmundo.es)

23 febbraio 2010. Orologio biologico
Ciò che nessuna donna vuole sentirsi ricordare man mano che arriva ai limiti dell’età fertile, che sia consapevole o meno dell’incessante battere dell’orologio biologico, è che le donne perdono il 90% dei loro ovuli entro i 30 anni, esordisce Carolyn Butler in un reportage sul Washington Post di oggi.
Ma non finisce qui, dalle ultime ricerche pare emergere il sospetto che l’orologio biologico cominci a battere prima e più velocemente di quanto si pensasse.
Un’indagine delle università di St. Andrews e di Edinburgh pubblicato lo scorso mese ha tracciato l’evoluzione della "riserva” di ovuli dal concepimento alla menopausa. Usando un modello matematico i ricercatori hanno scoperto che mediamente una donna nasce con circa 300.000 ovuli che via via perde con l’età, arrivando ad averne solo il 12% a 30 anni e solo il 3% a 40 anni.
Attenzione, però, ricorda la Butler, non è il caso di farsi prendere dal panico, perché il 10% di 300.000 ovuli è ancora una quota sufficiente per procreare. E poi la quantità e qualità degli ovuli sono solo due dei fattori determinanti. Ormai le tecniche contro l’infertilità hanno fatto passi da gigante. E tuttavia un problema resta, perché anche a causa della risonanza mediatica dei parti tardivi delle tante mamme Vip, sempre più le donne sembrano rimuovere il dato che i picchi di fertilità sono comunque intorno ai 19-20 anni. Tant’è che l’età del primo parto continua a salire. Nel 2006 l’età media della prima gravidanza era 26 anni e mezzo, ben 5 anni in più rispetto al 1970.
La vera drammatica constatazione è che l’orologio biologico non si è adattato ai nuovi costumi delle donne.
Resta infatti il problema, grave, non solo dell’infertilità, ma anche di gravidanze difficili e di patologie, come la sindrome di Down, ma non solo. Uno studio pubblicato questo mese su Autism Research ha rivelato che le probabilità di avere un bambino autistico aumentano con l’età: le mamme over 40 hanno il 77% di probabilità in più delle donne sotto i 25 anni.
"La società è cambiata” conclude Robert ­Stillman, endocrinologo alla clinica per l’infertilità al Shady Grove Fertility di Rockville "ma le ovaie avranno bisogno di almeno un altro milione di anni per mettersi in pari”.
(www.washingtonpost.com)

24 febbraio 2010. Da un blog
Sono rimasto sconvolto, lo scorso martedì, davanti alle prime immagini dell’attentato esplosivo che ha seriamente danneggiato il muro di cinta del tribunale della città di Newry, a qualche chilometro da Ballybàn. Attentato che al momento in cui scrivo queste righe non è ancora stato rivendicato, ma che la Bbc ha attribuito ai dissidenti dell’Ira, la minuscola minoranza che si oppone agli accordi di pace.
Danny Kennedy, parlamentare unionista, ha affermato che un gruppo di dissidenti repubblicani aveva inviato un avvertimento prima dell’esplosione della bomba.
Conosco bene quel tribunale, e ne ho ben donde: mi ci reco ogni settimana per i miei doveri di udienza. Il tribunale è ora chiuso a tempo indeterminato, così dovrò recarmi a quello di Armagh, che è un po’ più lontano. Ma qui non si tratta certo di me, chiaramente, anche se non posso fare a meno di immaginare che ne sarebbe stato di me, mi fossi trovato lì al momento dell’esplosione... un pensiero che mi fa sempre provare un brivido nelle ossa!
Ma perché Newry? Perché si tratta di una città di confine, e perché gli attentatori potevano dunque preparare l’attentato in Eire, dall’altro lato della frontiera, dove dispongono di una rete di collaboratori più significativa, e anche perché Newry è ormai divenuta la destinazione privilegiata dei consumatori della sponda sud che affollano quei supermercati, dove si possono fare grandi affari. I dissidenti -supponendo che si tratti effettivamente di dissidenti, come parrebbero concordare tutti i commentatori politici- han già preso due piccioni con una fava, attaccando le istituzioni giudiziarie della città e contemporaneamente paralizzando l’attività economica, essendo ora i turisti del versante sud nettamente meno disponibili a valicare la frontiera per timore degli attentati…
(http://irlande.blogs.liberation.fr)

26 febbraio 2010. Cosa fare e cosa non fare
Dodici detenuti suicidi in nemmeno due mesi, l’ultimo ieri nel carcere di Rebibbia. A fronte di soli 4 episodi avvenuti nello stesso periodo del 2009. Una preoccupante escalation che ha spinto l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere a stilare una sorta di vademecum per fare prevenzione "senza dover attendere modifiche normative o altro”. Il cahier delle "buone pratiche” è stato messo a punto con l’aiuto di detenuti e operatori penitenziari.
Cosa non fare con un detenuto "a rischio”
- non metterlo nella cosiddetta "cella liscia”;
- non togliergli tutto quello che potrebbe usare per suicidarsi: se vuole trova lo stesso il modo (Giacomo Attolini, ad esempio, si è impiccato utilizzando la maglietta);
- non controllarlo in modo ossessivo;
- non minacciare di mandarlo in "osservazione” all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario.
Cosa non fare con tutti i detenuti
- non creare "sezioni ghetto”;
- non aspettare che chiedano aiuto;
- non sottovalutare i tentativi di suicidio e le autolesioni, considerandoli "dimostrativi”;
- non applicare sanzioni o punizioni per atti autolesionistici o tentativi di suicidio;
- non esprimere un giudizio morale sugli atti autolesionistici o i tentativi di suicidio;
- non suggerire (provocatoriamente) di "tagliarsi” per ottenere qualcosa.
Cosa fare
- dare attenzione alla persona (Gruppi di attenzione e di ascolto sono presenti in alcune carceri) durante tutto il periodo detentivo, e non solo limitandosi al primo ingresso, o alla fase di accoglienza;
- aumentare le possibilità di lavoro e di attività intramurarie;
- cercare di credere a quello che le persone detenute dicono, rispetto ai problemi propri o dei compagni;
- ridefinire il concetto di rischio suicidario: il suicidio viene spesso visto come una malattia;
- migliorare il contesto relazionale all’interno della struttura;
- pensare a sostenere l’autore di reato nel rielaborare il reato commesso;
- pensare a una mediazione tra l’autore di reato e la sua famiglia;
- sostenere la persona detenuta in una sua progettualità;
- fare più formazione a tutto il personale.

5 febbraio 2010. Notti di guardia
Un gruppo di operatori sanitari, con la passione per la medicina, ma non solo, da qualche tempo ha creato in rete un "contenitore di storie” di notti di guardia sul difficile mestiere del medico. Il 17 gennaio è stata pubblicata una testimonianza commovente.
Rispetto all’ultima volta che l’ho vista la signora Maria è più triste, dimagrita, è diminuita la mimica facciale.
- Come sta la sua nipotina?
- Sta crescendo bene e va molto volentieri all’asilo nido.
- Sta ancora leggendo i quotidiani?
- Si, a volte li leggo io, a volte quando non ce la faccio me li legge mio marito, ma ormai leggere i giornali sta diventando angosciante [...].
- Signora Maria, mi sembra un po’ giù di umore oggi.
- Perché, secondo lei come dovrei essere?
- La capisco, ma forse si potrebbe aiutare con qualche farmaco, un ansiolitico o un antidepressivo.
- Sino a quando ce la faccio preferisco di no, in seguito si vedrà.
- Sta dimagrendo molto, evidentemente quello che riesce a mangiare non le basta, forse è il caso di aggiungere un po’ di nutrizione enterale attraverso la Peg.
- Ma cosa me ne faccio di mettere su qualche chilo?
- Una buona alimentazione serve per prevenire le lesioni da decubito e le infezioni, comunque se lei non è d’accordo lasciamo così, d’altronde abbiamo sempre cercato di rispettare la sua volontà.
Dal suo sguardo, ho capito subito che mi ero intrappolata in una conversazione difficile. Infatti alla mia affermazione non poteva che seguire la sua domanda.
- Davvero dottoressa rispetterebbe la mia volontà? E se arrivasse il momento in cui io le chiedessi di staccare il ventilatore, lei lo staccherebbe?
Non ero pronta. Avevo riflettuto a fondo sulla possibilità di trovarmi in una situazione così, come credo abbiano fatto tutti gli anestesisti quando tirarono un sospiro di sollievo perché per fortuna non era toccato a loro essere il medico curante di Nuvoli o di Welby .
Me la sono cavata mediocremente.
- Suvvia signora, io penso e le auguro che la sua vita, anche se in questa condizione, per lei abbia sempre motivo di essere vissuta.
Io così pensavo e le auguravo. Feci finta di non capire quello che continuò a dire subito dopo. La donna, di intelligenza sopraffina, aveva capito benissimo che non le stavo rispondendo e io sapevo di non aver risposto, sapevo soprattutto di non saperle rispondere.
Sapevo che quanto successo quel giorno era una puntata di un dramma iniziato quattro anni prima, sapevo della mia vigliaccheria.
Andai a trovarla qualche altra volta. La malattia evolveva molto velocemente. Tutti i muscoli erano paralizzati, riusciva solo ad aprire e chiudere gli occhi e con questo vocabolario comunicava con i familiari e con il personale che la assisteva intensamente. [...] Come si sentiva, cosa pensava, nessuno di noi poteva saperlo. Il marito ha continuato a leggerle il giornale tutti i santi giorni ma alla fine non sapeva più se lei gradiva, se ascoltava e se capiva. Lo sguardo nel tempo si era spento, gli occhi erano diventati vitrei. Era un corpo sul quale ogni giorno si andavano a misurare la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, la temperatura, la diuresi, il bilancio dei liquidi, le calorie introdotte. Tutti ardentemente avremmo voluto leggere, conoscere i suoi pensieri, ma la situazione non dava strumenti di lettura. Si potrebbe pensare che la risposta era semplice se solo ci si fosse fermati a chiedersi:
- Ma io al posto suo cosa avrei desiderato?
[…] Ho cercato conforto nei documenti emanati dal Comitato nazionale di bioetica, nella Costituzione, nella Convenzione di Oviedo, ma soprattutto nel Codice di deontologia medica. Ho letto anche l’Enciclica Evangelium Vitae cercando lumi, ma questa è utile per chi crede che la vita l’abbiamo avuta in dono e solo Dio ne può disporre. In quei giorni, ognuno ha detto la sua avendone o no titolo e cultura scientifica. Molta confusione sui termini e sul senso da dare alle parole. […] Quello che manca un po’ a tutti è la compassione, intesa come partecipazione affettiva alla sofferenza del malato senza speranza. Manca ai politici e anche agli uomini di chiesa troppo vincolati ai codici delle caste di appartenenza. Manca anche a molti medici. E’ più facile fingere di non sentire quando è il tuo turno e sperare che qualche altro senta per tutti al turno successivo. Ma la notte, quando si rimane soli con la propria coscienza e ci si chiede - cosa avrei voluto io al posto di Maria - come si fa a dormire tranquilli se hai finto di non sentire?
Malanotteno
(http://nottidiguardia.it)
27 febbraio 2010. Turbo-emancipazione
Lo Spiegel ci racconta dell’evoluzione della condizione femminile in Polonia: nei vent’anni trascorsi dalla caduta del Muro, infatti, le donne hanno occupato un numero sempre più consistente di posizioni e impieghi un tempo riservati esclusivamente agli uomini. Da quelle rientrate dall’estero, a chi ha lottato giorno dopo giorno dall’89 in avanti, la spinta all’emancipazione ha portato le donne polacche ai primi posti in Europa per l’avviamento di attività commerciali e per la presenza in posizioni di middle management. Non a caso si parla di "turbo emancipazione”.
La cosa pare non piacere alla componente tradizionalista, dominante nelle campagne, che rivendica la natura cattolica del Paese appellandosi a modelli di comportamento "mitologici”, come la figura della donna polacca, casalinga e madre. Nemmeno il comunismo era riuscito a scardinare questa mentalità, riuscendo semplicemente ad aggravarla: ai pari doveri in campo lavorativo, la donna doveva affiancare quelli tradizionali di madre e casalinga.
Una delle donne-simbolo di questa rivoluzione femminile è Ewa Wieczorek, direttrice di Wysokie Obcasy ("Tacchi a Spillo”), rivista che si occupa di moda e cultura; secondo lei, la figura della "madre polacca” va rivista alla luce del bassissimo tasso di natalità registrato ora nel Paese: appena 1,4 figli per donna. Inoltre, un sondaggio ha recentemente dimostrato un crescente sostegno popolare in favore delle "quote rosa” nelle liste elettorali; qui, secondo alcuni sociologi sarebbe un’altra componente tradizionale, ovvero la storica sfiducia per le istituzioni, a spingere la maggioranza dei polacchi (52% degli uomini e 70% delle donne) a guardare all’ingresso delle donne in politica come ad un elemento nuovo, capace di scardinare il vecchio ordine. Le attiviste e le protagoniste dell’emancipazione ritengono che una più vasta componente femminile in politica potrebbe indurre cambiamenti da tempo osteggiati dai settori cattolici, come una differente legge sull’aborto o sulle molestie sessuali.
(www.spiegel.de)

28 febbraio 2010. Il metodo Mississipi
Dal New York Times, la storia di Scott e Roshonda: Scott Phillips è un piccolo imprenditore del settore idraulico che ha dovuto chiudere a causa dell’esplodere della bolla immobiliare; Roshonda Bolton, invece, ha perso il lavoro nell’azienda tessile in cui lavorava da sedici anni, andata fallita lo scorso agosto. Ora lavorano entrambi in una fabbrica di tovaglioli di carta, assunti lo scorso mese grazie all’iniziativa del loro Stato, il Mississipi, che sta sostenendo la creazione di nuovi posti di lavoro pagando i primi stipendi con una parte dei fondi residui dello stimulus governativo arrivato lo scorso anno. Mentre al Senato, dove sono al vaglio le misure per incentivare l’occupazione, si discute prevalentemente di agevolazioni fiscali per le aziende e investimenti nelle infrastrutture, sono già 21 gli Stati che, in via sperimentale, hanno adottato lo stesso approccio del Mississipi: versare parte dei cinque milioni di dollari dell’ultimo stimulus package direttamente ai lavoratori. E’ il caso del Tennessee, dove l’intervento mirato nella contea Perry ha ridotto il tasso di disoccupazione di quasi dieci punti. Il Mississipi lo ha chiamato Step Program: le prime due mensilità sono interamente a carico dello Stato, ma l’integrazione si riduce col passare del tempo, fino ad arrivare al 25% al sesto mese. Dal settimo, è il datore di lavoro a pagare lo stipendio. L’intervento è rivolto al solo settore privato, il che ha sollevato critiche: perché lo Stato dovrebbe finanziare settori che spesso non hanno finalità pubblica? Perché, a detta del governatore Barbour (un repubblicano influente, nel partito), è il privato che rappresenta la "vera economia”. A dispetto della retorica "anti-statalista”, tipica del livello nazionale statunitense, pare che a livello locale simili iniziative trovino un sostegno bipartisan: resta da vedere se a settembre, termine ultimo per spendere i fondi dello stimulus package, sarà possibile proseguire con nuovi fondi.