Le nazioni hanno successo o falliscono e mostrano il loro carattere in base al modo in cui sfidano l’ignoto e affrontano la paura. E molto dipende dalla qualità della loro leadership. Se i leader sfruttano la paura per condurre il “branco” in direzioni che altrimenti non avrebbe scelto, allora la paura stessa diventa una forza fuori controllo che si autoalimenta, che prosciuga la volontà ed impoverisce il carattere di una nazione, distogliendo l’attenzione dalle minacce e dalle paure reali, generando confusione rispetto alle scelte fondamentali che ogni nazione deve prendere sul suo futuro.
Al Gore, The Assault on Reason (2007)

A dicembre, Al Gore andrà a Stoccolma per ricevere il Premio Nobel per la Pace, come riconoscimento al suo impegno per far prendere coscienza delle minacce al nostro ambiente “fisico”. Al di là di tutta questa pubblicità, vale la pena leggere il suo ultimo bestseller: The Assault on Reason (Penguin Press, New York, 2007), che esamina la crisi dell’ambiente “politico” americano; le minacce agli ideali ed alla pratica della democrazia che ha paralizzato il dialogo razionale ed incoraggiato tutta una serie di dolorose decisioni nell’era post 11 settembre.

La più grave tra le minacce è la maniera con cui la paura, “che si autoalimenta incontrollata”, è stata manipolata dalla destra radicale durante il mandato di George W. Bush per vendere la disastrosa avventura irachena, per condonare la tortura, per sospendere le libertà civili e per erodere il sistema di controlli e contrappesi scritto nella Costituzione per limitare un potere imperiale fuori controllo. Perché i cittadini hanno permesso che accadesse tutto ciò? Perché, chiede Gore, “la ragione, la logica e la verità giocano una parte così irrilevante” nel determinare la rotta della nostra nazione?
Se Franklin Delano Roosevelt rassicurò gli Americani, e fece appello ai loro istinti migliori, nella sua dichiarazione del 1933, quella del “non dobbiamo aver paura di nulla se non della paura stessa”, l’ammistrazione Bush, praticamente ad ogni occasione, ha soffiato sul fuoco di una paura infondata, accreditando falsità e distorsioni, per perseguire il suo piano per un potere senza controlli.
Così molti credono ancora -puntualizza Gore- che Saddam Hussein sia stato il mandante dell’attacco alle Twin Towers e che fosse in possesso del “fungo atomico”, che producesse armi che richiedevano una reazione militare immedita -nonostante le prove schiaccianti contro questa versione.
Ora, incredibilmente, gli stessi argomenti e la stessa strategia di disinformazione e di appello alle emozioni sono riapparsi quando il vice-presidente si è messo a “battere i tamburi” per bombardare l’Iran e, qualche giorno dopo, quando il presidente, durante la conferenza stampa, tra i suoi sproloqui, con la sua falsa naturalezza, ha agitato lo spettro della “Terza Guerra Mondiale” se Teheran si fosse rifiutata di accettare le richieste di Washington.
Ma, ammonisce Gore, “è troppo facile -e troppo partigiano- limitarsi a biasimare la politica di George W. Bush. Tutti noi ne siamo responsabili”. L’opposizione Democratica, nonostante il mandato elettorale del 2006 di dare una svolta dalla bellicosità di Bush, continua a finanziare la guerra in Iraq, che si trascina ormai da cinque anni; continua ad approvare una sorveglianza invasiva, e continua, in generale, a sostenere una amministrazione impantanata ai livelli di gradimento più bassi della storia (24% secondo i più recenti sondaggi). Hillary Clinton, il candidato di punta, ha riconfermato la sua approvazione del 2002 per la guerra contro l’Iraq con il suo recente voto al senato, in cui ha dichiarato la Guardia Nazionale Repubblicana Iraniana un’organizzazione terroristica -un ulteriore passo, molti credono, lungo la china scivolosa degli attacchi aerei “preventivi” e di altre misure irreversibili.
La paura, che sovrasta la capacità di deliberare razionalmente, di discriminare fra pericoli reali e falsamente esagerati, è la ragione fondamentale per cui la gente resta vulnerabile alla retorica demagogica dell’attuale amministrazione. E’ il motivo per cui molti Democratici, malgrado la dura lezione che dovrebbero aver imparato a proposito di assicurazioni ed appelli alla verità dalla loro Casa Bianca, continuano ad affidarsi all’anatra zoppa lame-duck Bush, per non essere accusati di essere in qualche modo “molli contro il terrorismo” nel 2008.
L’argomento di Gore qui è noto e, come lui stesso riconosce, nemmeno il cinico sfruttamento della paura è un tema nuovo (tenendo conto degli esempi storici di Joseph McCarthy e Richard Nixon). Ciò che rende Gore un “argomentatore” intrigante su questo fenomeno è la sua familiarità con l’attuale sviluppo scientifico sull’argomento. La parte più convincente di questo libro tratta il modo in cui la cultura “stampata”, quella a cui Jefferson e gli altri Fondatori facevano riferimento per una “cittadinanza ben informata”, è stata eclissata nella passata generazione dalla televisione e da una “cultura visuale” altamente sofisticata e profondamente manipolatoria. Sviluppi recenti nelle neuroscienze mostrano che la lettura coinvolge e fortifica i centri razionali del cervello, mentre le immagini visive, specialmente se presentate con l’implacabile sensazionalismo iperattivo dei media attuali, bypassano quelle aree connettendosi a regioni neurali più primitive, fra cui il centro della paura: l’Amigdala.
Una volta che queste regioni vengono coinvolte da ripetitivi e decontestualizzati video clip con -per dire- funghi atomici, folle che bruciano bandiere o un dittatore che agita il pugno ad una parata, non ha più senso scommettere sulla ragione.
L’evoluzione ci costringe, sottolinea Gore, ad immaginare minacce remote, virtuali e improbabili come vicine, imminenti e mortali, scatenando reazioni aggressive a scapito di riflessione, discernimento, del senso della proporzione e della capacità di valutare le conseguenze.

Al Gore, che al momento di questo scritto sembra, sfortunatamente, non essere intenzionato ad entrare nella gara per le presidenziali, ha, ancora una volta, identificato qualcosa ad un livello più profondo dei discorsi convenzionali circa i nostri attuali dilemmi. Sotto la superficie della normalità del consumismo, delle preoccupazioni personali e del lavoro, con gli occhi irrequieti ed “incollati” alla tv mediamente per 4 ore e mezza al giorno, gli americani vivono all’insegna del disimpegno, stressati e vulnerabili al pericoloso richiamo dei “politici dell’Amigdala”.
Ci vorrà una leadership totalmente diversa per opporsi a questo stato delle cose, per restaurare la nostra democrazia deliberativa, e per addomesticare, con la ragione, gli effetti di anni di sottomissione ad una paura costante, e l’istinto al potere bruto e alla violenza che quella paura ha generato.
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