E’ con comprensibile emozione che parlo di Luca e credo comunque che questo breve ricordo sia utile non soltanto per tenere vicino questo compagno che ci ha voluto bene e a cui abbiamo voluto bene, ma potrebbe essere anche un contributo al dibattito che ci sarà dopo e che ha per titolo “Che senso ha fare politica?”.
La vita di Luca é un esempio semplice e straordinario di una vita che ha avuto una direzione, un senso e un respirare quotidiano della politica. Politica non come appartenenza al mondo delle regole e della politica professionale, ma con una specie di ispirazione molto naturale, semplice appunto, che dirigeva ogni suo gesto, ogni suo atto, ogni sua scelta, portandolo a fare scelte straordinarie nella loro difficoltà. Qualcosa che appartiene a tutti i compagni, per cui i compagni pagano a volte prezzi altissimi e per questo, appunto, straordinaria.
La storia di Luca per chi non lo conosce, -ho difficoltà a raccontarla brevemente-, è la storia di un ragazzo che dai 18-20 anni ha partecipato a tutte le lotte studentesche di Bologna, in Lotta Continua, -mi diceva no anche con incarichi dirigenziali, ma su questo Luca per primo avrebbe fatto un sorriso-, è stato in tutte le situazioni di lotta dove sono nate idee nuove a Bologna, poi è andato in America, in Messico, in anni molto colorati, molto gioiosi, niente affatto di fuga, e che non lo hanno poi allontanato per niente dalle idee politiche. E infatti, appena tornato, -l’unica cosa che era cambiata era un orecchino-, ha ripreso naturalmente a fare politica. Si è impegnato nelle radio private, nella LILA, contro l’AIDS, e sul problema del razzismo e tutto questo quando queste tematiche erano all’inizio, non erano ancora così presenti nella testa di tutti. E poi negli ultimi anni della sua vita -è morto a 42 anni-, ha fatto il giornalista, in un modo molto particolare. Credevo che più o meno chi fa il giornalista cadesse nella trappola della professione e potesse a volte reagire soltanto smettendo di scrivere. E invece lui mi aveva insegnato questa semplice e straordinaria capacità di lavorare con puntiglio sulle cose. Cito solo due inchieste che lui portò avanti: Ustica e Italicus. Aveva un archivio impressionante, pericoloso. Pericoloso proprio per il pavimento di casa sua. Ha veramente fatto questo lavoro in condizioni precarie e generose. E qui devo mettere una nota di polemica, non astiosa, ma decisa, nei confronti del “Manifesto” che, nei confronti di Luca, si è comportato, per dirla con un eufemismo, come un qualsiasi giornale padronale, a eccezione dell’affetto dei singoli compagni. Penso che tutte le volte che i compagni del Manifesto scriveranno la parola “sfruttamento”, forse dovrebbe venire loro quello che a Bologna si chiama “un po’ di magone”, pensando a Luca.
Luca soffriva fin dall’infanzia, ora si può dire, di una forma leggera, non grave, di epilessia che gli è stata poi fatale. Ecco, chi non lo conosceva è rimasto stupito da questa notizia, perché in effetti Luca non se ne lamentava mai. Si portava dietro questa ombra con una serenità straordinaria, e gli amici l’avevano dimenticata. Quando parlavo con Luca, non mi ricordavo di questa ombra nella sua vita. Me la sono ricordata drammaticamente all’ultimo momento, è la prima cosa a cui ho pensato. Vorrei ricordare un episodio, per dare l’idea di questa vita semplice e straordinaria, di questa vita con un senso politico, quando un altro compagno che ci è molto caro e a cui abbiamo intitolato un’associazione, Mauro Comellini, morì. Nell’ultimo anno, che fu molto brutto, perché fu una morte lenta, dignitosa ma lenta, gli furono molto vicini Silvia, la sua ragazza, io, con molta difficoltà perché avevo gran desiderio di fuga e gran difficoltà a stare vicino al dolore, a vedere questo amico trasformarsi, e, con una naturalezza assoluta, Luca. E non credo che questo derivasse dal fatto che si sentisse unito nella malattia. Era perché c’era in Luca, e questa è una discussione che ricordo benissimo, ricordo le parole precise, l’idea della politica come tentativo di vivere insieme in modo diverso da quello in cui si vive nel nostro paese, come una forma di dignità irrinunciabile. Queste furono le parole che lui disse quella sera. E che comunque questa dignità irrinunciabile, per quanto potesse causare grosse difficoltà e far pagare grossi prezzi, -e la vita di Luca non è stata una vita facile-, era comunque meglio della miseria e dell’orrore di chi rifiuta qualsiasi forma di impegno, di chi governa questo paese come ha governato questi ultimi anni e soprattutto di chi tradisce, di chi svende i compagni semplici e straordinari come Luca.
Ecco io avrei voluto a questo punto leggere una poesia che avevo scritto perché era un po’ una visione della nostra generazione. Si chiama “calanchi” e parla appunto di questa irrinunciabile dignità, di questa paradossale vittoria. Forse questo è un termine strano, ma io lo intendo riferito alle vite di alcuni compagni, di cui forse dovremmo accorgerci non solo nel momento in cui li perdiamo, ma che dovrebbe accompagnare, dovrebbe renderci tutti i compagni più preziosi. Questa poesia io la dedicai a mio figlio e Luca mi rimproverò di questo e quando gli chiesi a chi avrei dovuto dedicarla, lui, con assoluta faccia tosta, mi disse: a me, a un compagno che ha fatto le stesse esperienze. Mi sono ricordato molto di questa frase, di quanto a volte le vite semplici e straordinarie ci passino vicino e, non si può dire che non ce ne accorgiamo, soltanto alla fine ci accorgiamo che c’erano in queste vite una forza e una dignità che dovrebbero aiutarci a sperare. Se non nella politica, nella nostra capacità di affrontare i disastri della politica o le speranze della politica, con maggiore energia, perché questo è quello che noi dobbiamo ai compagni che pagano prezzi più alti di noi.
Stefano Benni

Questo intervento è la registrazione della commemorazione di Luca Torrealta che Stefano Benni ha fatto , in apertura del dibattito "che senso ha fare politica", la sera del 6 ottobre 92 a Bologna presso il cinema Settebello. Il dibattito era oganizzato dal comitato di solidarietà con Adriano Sofri, Ovidio Bompressi, e Giorgio Pietrostefani. Comitato in cui Luca si era impegnato attivamente.