Machsom Watch (www.machsomwatch.org) è un’organizzazione di sole donne fondata nel febbraio 2001 da un gruppo di gerosolimitane col fine di sorvegliare che ai checkpoint non vengano commessi soprusi, di facilitare il passaggio risolvendo occasionali problemi e dirimendo improvvise questioni. Conta circa 500 associate organizzate in quattro gruppi operanti a Gerusalemme, Tel Aviv, Beersheva e un’unità per il Nord.
Yesh Din (Applicare la legge) è nata nell’aprile 2005 grazie a un gruppo di donne militanti in Machsom Watch (fra le quali Ruth Kedar e Dina Goor), alle quali si associarono anche degli uomini, convinte della necessità di attivarsi nella difesa legale dei palestinesi ogni qualvolta fossero attaccati dai coloni. Gli associati sono adesso circa venti persone che si muovono in coppie fra i villaggi del West Bank. Sono ormai ben conosciuti e ricevono continue chiamate che informano di ogni genere di vessazioni. Yesh Din è assistita dall’avvocato Michael Sfard, titolare del più ferrato studio legale israeliano in diritti umani.

I quattro villaggi palestinesi di Beit Furik, Beit Dajan, Salim, Deir el Hatrab, i cui abitanti per recarsi a Nablus sono costretti a sottoporsi ai controlli del checkpoint di Beit Furik, giacciono sui bordi di un’ampia cavea naturale aperta da sud-est sulla città e ai piedi di un’alta catena collinare, agli estremi della quale sorgono i due massicci insediamenti ebraici di Elon Moré e Itamar. Dal checkpoint ho potuto constatare che un profondo fossato rettilineo artificiale impedisce il traffico diretto fra Beit Furik e Beit Dayan, distanti circa tre chilometri per una strada locale grosso modo in linea d’aria, il cui collegamento è ormai possibile solo con un percorso obbligato lungo una decina di chilometri. Mi è stato assicurato che fossati simili dividono gli uni dagli altri molti villaggi. Non solo: tale pratica capillare e reticolare di interdizione al movimento dei palestinesi è estesa a tutto il West Bank. Secondo l’occupante un provvedimento necessario per stroncare alla radice il terrorismo (e frazionare eventuali tentativi di rivolta); certamente soffoca ogni possibilità di sviluppo economico e disarticola il tessuto societario palestinese.
Giova rammentare che Nablus è parte delle otto zone facenti parte della “Area A” concordemente (Israele-Autorità Palestinese) affidata al governo dell’Autorità Palestinese, ma la cui autonomia è violata dall’Esercito israeliano ogni qual volta lo ritiene opportuno. L’accesso alla “Area A” è vietato agli israeliani (coloni compresi). I villaggi citati sono invece compresi nella “Area B”: zone affidate all’amministrazione civile dell’Autorità Palestinese, ma dipendenti per la sicurezza da Israele; sono accessibili agli israeliani (i coloni vi accedono armati).
A Huwarra ho contato una ventina di militari, la maggioranza dei quali drusi inquadrati nella Polizia di Frontiera, comprese due donne, una delle quali falascià. E’ noto in Israele che il servizio ai checkpoint è affidato preferibilmente a soldati della Polizia di Frontiera perché sono in servizio effettivo (temporaneo rinnovabile) ed anche perché vi sono inquadrati in numero rilevante drusi e beduini che sono di lingua araba: e in caso di necessità a riservisti ebrei.

L’8 dicembre mi sono accodato a Ruth Kedar1 e Dina Goor2 dell’organizzazione Yesh Din. Accompagnavano nel West Bank, zona Nablus-Qalqilya, due signore entrambe israeliane, una residente a Gerusalemme e l’altra a Ginevra, per far loro conoscere de visu la situazione nei territori occupati. Dopo essere passati per il checkpoint di Huwarra, drammaticamente affollato come al solito, ci fermiamo ad osservare al crocevia di Yas Tappuah, un paio di chilometri a Sud di Huwarra, un gigantesco checkpoint circolare in costruzione dell’ampiezza di un vasto roundabout. Il crocevia collega l’intersezione della strada Nablus-Ramallah con quella che, attraversando il West Bank nel punto della sua maggiore ampiezza, collega direttamente Tel Aviv con la valle del Giordano. Una costruzione che rivela in modo inequivocabile i propositi del governo in carica in merito alla formazione di uno Stato palestinese indipendente nel West Bank su di un territorio ampio e omogeneo; pure di quello prossimo, qualora le elezioni legislative del 28 marzo dovessero confermare il clamoroso successo che i sondaggi pronosticano a Kadima, il nuovo partito fondato e diretto da Sharon, il quale aveva recentemente annunciato un progra ...[continua]

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