Il 2 dicembre 1999, si è tenuta a Torino una giornata di studio su un’indagine condotta tra 200 allievi del primo anno del Corso di laurea in Scienza delle comunicazioni di Torino. Il questionario, pubblicato nel volume a cura di Fabio Levi, I ventenni e lo sterminio degli ebrei, Silvio Zamorani editore, si proponeva di toccare questioni diverse. Parte delle domande sono state pensate nell’intento di raccogliere innanzitutto qualche informazione sulle caratteristiche del gruppo cui si rivolgeva; altre avevano l’obiettivo di misurare il grado di conoscenza dei fatti, al fine di operare qualche verifica mirata, ad esempio cosa sanno i ventenni di oggi riguardo al numero di ebrei annientati, o ancora su quello che accadde in Italia; nello stesso tempo si voleva indagare sulla presenza di eventuali stereotipi più o meno radicati, in particolare sull’immagine degli ebrei di fronte alle persecuzioni naziste. Un terzo gruppo di domande aveva invece lo scopo di delineare un quadro delle fonti attraverso le quali si è diffusa tra i ragazzi intervistati la conoscenza dello sterminio e la consapevolezza della sua importanza. Le domande che aprivano il questionario avevano infine l’obiettivo di valutare quale fosse l’idea d’insieme che ognuno aveva dello sterminio, valutando più in particolare quale fosse il peso delle componenti emotive sulla capacità di articolare precisi interrogativi. Seguono gli interventi di Fabio Levi e Anna Bravo.

Fabio Levi
Vorrei prima di tutto spiegare come è nato e che cos’è il libro di cui stiamo discutendo. Alla prima lezione di uno dei corsi di Storia contemporanea dell’anno scorso alla Facoltà di Lettere di Torino, i 200 studenti presenti hanno tutti risposto a un questionario su vari aspetti dello sterminio degli ebrei negli anni della seconda guerra mondiale. Poi un gruppo di loro, insieme al docente, ha trascritto le risposte, riflettendo sul loro significato, ma soprattutto cercando di trovare un modo per riproporle agli altri in forma organizzata e comprensibile. E’ nato così un libro che, composto e stampato in tempi strettissimi, è stato distribuito e discusso all’ultima lezione.
Il libro voleva essere una sorta di specchio: intendeva cioè offrire a tutti quelli che avevano compilato il questionario la possibilità di rispecchiarsi nelle risposte degli altri, ma anche di misurare il proprio atteggiamento, così come era maturato nel corso del semestre, su quello della prima lezione. Lo stesso potranno fare coloro i quali, in altre scuole e in altre situazioni, avranno occasione di rispondere alle stesse domande.
Potranno confrontare il proprio punto di vista con quello del gruppo che ha realizzato il libro: un gruppo peraltro con caratteristiche assai particolari, trattandosi di studenti quasi tutti ventenni, in grande maggioranza provenienti dai licei e iscritti a un corso di laurea fra i più ambiti dagli studenti in questo momento: quello di Scienze della comunicazione.
Dicevo che il libro di cui ci stiamo occupando è una sorta di specchio, ma è anche a mio avviso un ricchissimo caleidoscopio di immagini, idee, giudizi e, proprio per questo, di informazioni sui ragazzi che hanno risposto al questionario. Prima però di proporre qualsiasi valutazione nel merito penso valga la pena chiederci quale debba essere l’atteggiamento più giusto da assumere nei confronti delle innumerevoli risposte riportate via via nelle pagine del volume; o, meglio ancora, credo sia il caso di riflettere su ciò che non bisogna assolutamente fare esaminando un materiale del genere e, più in generale, quando si affronta il tema dello sterminio nazista in un’aula scolastica.
Senza alcun dubbio la prima cosa da non fare è scandalizzarsi per gli errori più o meno consistenti commessi dai nostri interlocutori nel rappresentare quello che è successo, o per le loro difficoltà a porre i vari problemi in modo adeguato. Un atteggiamento del genere non solo è sbagliato, ma molto controproducente. Nel nostro caso poi si rischierebbe di sottovalutare un grado di informazione e anche una capacità di esprimersi e di ragionare tutt’altro che trascurabili. Dobbiamo saper riconoscere ai più giovani di noi, nel nostro caso ai ventenni appena iscritti all’università, il diritto di non sapere. Oltre tutto, se non sanno, la responsabilità è prima di tutto nostra: degli insegnanti o degli studiosi cioè che, ad esempio, compilano molto spesso manuali di storia imprecisi e deludenti.
Non è meno sbagli ...[continua]

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