Sono abbonata a Una città e scrivo a proposito dell’articolo “Fra la traversina e il ministro”, n.73 dicembre 1998.
Ho lavorato per sei anni come operaia metalmeccanica in un laboratorio di elettronica, che produceva per una ditta più grossa, a “fare schede” (alimentari). Mi sono sempre chiesta a cosa servissero. Senza capirlo naturalmente. E la somma dell’ignoranza scientifica circa il materiale che usavo e dell’ignoranza sulla destinazione d’uso del prodotto montato mi dava la misura della mia impotenza. Che autonomia posso avere e quindi che controllo esercitare sulla realtà che mi circonda se non so neanche quello che faccio?
Abito in un comune con meno di cinquemila abitanti. In teoria non dovrebbe essere difficile capire cosa succede. In pratica è diverso. In questi ultimi anni non è che l’attività del comune sia rimasta paralizzata: hanno assunto personale, speso molti soldi in alcune opere e così via. Eppure per me (e per molte altre persone) è una incognita anche il funzionamento ordinario dell’amministrazione. Le competenze, le spese, i finanziamenti, la stesura del bilancio sono tutte cose che non conosco.
Certo c’è la burocrazia, il sovrapporsi di leggi spesso incomprensibili o pensate in astratto per situazioni diverse da quelle reali. Tutto questo è vero. Però anche con l’autonomia, il federalismo e non so più che altra formula istituzionale, per quanto piccola sia la comunità da governare, le decisioni saranno sempre delegate a degli esperti, a chi fa il politico o il sindacalista di mestiere, a chi ha una laurea in diritto o economia, oppure a chi ha il potere e i soldi per pagare gli esperti che gli permettono di navigare in tranquillità fra gli scogli delle leggi.
A tutti gli altri non resterà che borbottare, fare il tifo per questo o per quello, ritagliarsi qualche fettina di sottoprodotto; nel migliore dei casi coltivare il proprio particolare. Con buona pace della partecipazione comunitaria.
Sarà più facile individuare la responsabilità? Non ne sono convinta. Per controllare bisogna conoscere. E così torniamo al punto di partenza.
Affermazioni come; “ognuno sa cosa succede in casa sua”, “I problemi risolviamoli tra di noi perché gli interessi dell’uno sono quelli dell’altro”; e ancora “Se nel mio comune vogliamo l’illuminazione pubblica paghiamo l’Ici, che problema c’è se nel comune vicino preferiscono non pagare o stare al buio?”. Sono ragionamenti che danno per scontato una situazione di unanimità, di plebiscito. Ma è all’interno di ogni comune, di ogni frazione e anche di ogni casa che uno vuole una cosa e uno un’altra.
E allora come si fa? Se ognuno decide cosa vuole pagare e cosa no, a che serve l’amministrazione pubblica? Ognuno con i soldi compra quello che vuole. Chi ha più soldi si compra tutto e chi non ne ha ringrazia se gli lasciano un po’ d’aria per respirare. E poi si può sempre affidare al buoncuore di qualche mecenate. Cos’è, il medioevo prossimo venturo?

Abitando in un paese si finisce per conoscerne vizi e virtù degli abitanti. E allora tutte le parole astratte e altisonanti (come diritto e alto senso di civiltà dei veneti, laboriosità, solidarietà, ecc.) osservando i singoli individui nella loro vita quotidiana, di lavoro, vita familiare, rapporti interpersonali, si sgonfiano e lasciano scoperto il traliccio della costruzione ideologica che anche se è fondata sui soldi e il lavoro non per questo è meno astratta.
Per esempio vedo vicini di casa che hanno un alto concetto dei loro diritti, ma poca considerazione per quelli altrui. Recintano la loro proprietà fino all’ultimo cm e poi parcheggiano le numerose auto in strada. Altri si lamentano delle leggi veramente incomprensibili che regolano l’agricoltura. Peccato si lamentino solo quando sono a loro sfavore. Si guardano bene dal contestare le leggi, ugualmente balorde, dalle quali possono trarre benefici. Anzi ben vengano i contributi.
E ancora tutti a parlare delle stragi del sabato sera, ma quelle dei vecchietti, abitanti in paesi attraversati da strade extraurbane e spiaccicati perché i limiti di velocità non sono rispettati, non fanno rumore. Forse è considerata una naturale selezione della specie; non c’è spazio per gli individui lenti e con scarsi riflessi perché non in sintonia con i ritmi della produzione. Forse anche il codice della strada è una di quelle inutili pastoie burocratiche che si vuole eliminare perché è un impedimento al ritmo produttivo?
E ancora: quando uno all ...[continua]

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