Una Città271 / 2021
dicembre 2020-gennaio 2021


Sono persuaso che, se il dispotismo giungesse mai a stabilirsi in America, esso troverebbe ancor più difficoltà a piegare le abitudini create dalla libertà, che non a vincere l’amore stesso della libertà. Questa agitazione sempre rinascente, che il governo della democrazia ha introdotto nel mondo politico, si diffonde poi nella società civile. Non so se, tutto sommato, ciò non sia il più grande vantaggio del governo democratico, e io lo lodo molto più per quello che fa fare che non per quello che fa.

[…] Ciò, sovente è vero: se la democrazia ha più probabilità di sbagliarsi di un Re o di un corpo di nobili, essa ha pure più probabilità di ritornare alla verità, una volta che venga illuminata, perché di solito non ci sono, nel suo seno, interessi contrari a quelli della maggioranza, e che lottino contro la ragione. Ma la democrazia non può raggiungere la verità che attraverso l’esperienza, e molti popoli non saprebbero attendere, senza perire, i risultati dei loro errori. Il grande privilegio degli Americani non è dunque solamente di essere più istruiti degli altri, ma di avere la possibilità di fare errori riparabili.
Alexis De Toqueville (tratto da La democrazia in America, Utet 2017)

dicembre 2020 - gennaio 2021


La società, lo stato, il capitalismo del futuro
Come cogliere l’occasione per riformare l’Italia
Intervista a Salvatore Biasco

Il golpe americano
Sulle sfide che attendono l’America di Biden
Stephen Eric Bronner

Ma noi siamo così
Sull’assalto di Capitol Hill
di Michael Kazin

E voi come state?
Sul dolore, le cure palliative e la pandemia
Intervista a Luciano Orsi

Incontrare, ascoltare, contrattare
Quale futuro per il sindacato
Intervista a Valentina Cappelletti, Daniele Gazzoli e Fabio Ghelfi

Crinale zero
Un progetto di impianto eolico in Appennino
Intervista a Marco Giusti

La marsigliese, da solo
Sulla scuola, l’islam e la libertà d’espressione
Intervista a Paola Bertilotti

Il senso del tempo
Sul tempo, tra fisica e neurobiologia
Intervista ad Arnaldo Benini

L’occidentalista eretico e il movimento per la libertà della cultura
Un ritratto di Nicola Chiaromonte
Intervento di Massimo Teodori

Spengler e l’Occidente che tramonta
Alfonso Berardinelli

Yitzhak Rabin, 25 anni fa. E oggi?
Giorgio Gomel

La solitudine dei saharawi
Emanuele Maspoli

Senza odio e paura
Irfanka Pasagic

Il coronavirus e la tolleranza
Bruno Giorgini

Abbiamo smesso di parlare
Belona Greenwood

Ma come facciamo senza un "sacro" laico?
Wlodek Goldkorn


Gigi Mariucci. Un saluto
Gianni Sofri
In una settimana, incollati ai televisori, abbiamo assistito a due “scene madri”. Proponiamo di utilizzarle per conoscere meglio noi stessi. Se assistendo alla prima, nel vedere profanata la sede di un potere spesso lontano, e a volte pure corrotto, abbiamo provato una qualche soddisfazione recondita, misurandola avremo il nostro tasso di fascismo (nero, rosso o verde poco importa) il cui germe alberga in ognuno di noi; misurando invece la soddisfazione, la commozione, la sensazione di un ritorno di fiducia, di speranza, provate assistendo alla seconda, ecco, quello è il nostro tasso di spirito democratico. Dedichiamo la copertina a tutti i protagonisti della cerimonia del giuramento del presidente americano, a cominciare dalla straordinaria Lady Gaga per finire, perché no? a Mike Pence; si sa quanto, nella vita di tutti noi, seppur faticosa, sia importante la capacità di ravvedimento. E a proposito di “prese di palazzi” di cui si è tornato a parlare in questi giorni, visto che sono iniziate le celebrazioni del centenario di un partito nato dalla “presa di un palazzo”, ci piace ricordare l’insegnamento di un amico che purtroppo non c’è più, Pino Ferraris, che alla presa del Palazzo d’inverno, dalle conseguenze disastrose per l’Italia, l’Europa e il mondo, contrapponeva la presa di un altro palazzo di reali, a Bruxelles, acquistato dal glorioso Partito socialista belga coi soldi dei lavoratori, che in quei saloni videro ballare le loro figlie. Quella era la strada e, se la si fosse seguita, oggi il mondo sarebbe diverso.

Apriamo il numero con un’intervista a Salvatore Biasco sul “che fare”. La pandemia, oltre che sofferenza, lutti e difficoltà economiche, ci offre anche la grande occasione di riformare il nostro paese in maniera radicale, dal modo di abitare alla medicina del territorio, al risanamento ambientale; dal rapporto fra città e piccoli centri alla formazione professionale dei giovani, fino ai vincoli da porre alle imprese, in termini di tutela ambientale e tutela dei lavoratori. Il tutto accompagnato dalla partecipazione dei cittadini e, ovviamente, da un rinnovato ruolo dello Stato nella vita economica e sociale del paese.

Paola Bertilotti è un’insegnante che ci racconta come nelle scuole delle periferie francesi si sia diffuso un antisemitismo di segno islamico che rende difficile, se non impossibile, parlare della Shoà e un bullismo che colpisce i ragazzini ebrei costretti, spesso, a cambiare scuola; si diffonde anche un fondamentalismo per cui la preistoria non si può insegnare, perché prebiblica, della libertà della donna non si può parlare perché va contro i dettami della religione, eccetera eccetera. Ad alimentare un tale clima è anche la condizione d’abbandono in cui tanti ragazzi, figli di immigrati, si trovano a vivere in un contesto di povertà culturale e sociale oltre che economica, di degrado abitativo e, spesso, di oppressione poliziesca: i discriminati diventano discriminatori. In questo clima è accaduto l’assassinio di Samuel Paty.

Fra le lettere ricordiamo quella di Belona Greenwood, dall’Inghilterra, che racconta di un clima, grazie alle conseguenze della pandemia e della Brexit, più triste che mai. Là è calata una cappa di silenzio.

In penultima Gianni Sofri ricorda un amico suo e nostro: Gigi Mariucci.