Roberta Alessandri, 42 anni, imprenditrice, lavora a San Mauro Pascoli.

La tua azienda produce calzature di lusso per grandi marchi. Puoi raccontarci?
Quest’azienda è nata nel 1987 dalla passione artigiana e creativa di mia madre, Maria Tomassini. Lei all’epoca era dipendente di un noto calzaturificio industriale del territorio, il Calzaturificio Casadei, dove era entrata all’età di 14 anni. La sua competenza era di tipo tecnico: dall’idea stilistica, dallo schizzo trovava la soluzione tecnico-operativa per passare alla calzatura, al prodotto. Dopo vent’anni aveva deciso di abbandonare quello che era anche il posto sicuro, per dedicarsi alla sua passione. Siamo nati così, come azienda terzista che produce semilavorati di calzature, in particolare le tomaie, cioè la parte superiore della scarpa.
Devo dire che nei miei progetti non c’era quello di lavorare nell’azienda di famiglia. Io ho fatto giurisprudenza, volevo lavorare in tribunale minorile. Solo al termine del percorso scolastico mi sono accorta di quello che c’era qui dentro e ho scoperto questa creatività, questa manualità, questo grande saper fare che è cultura. Purtroppo mia madre è mancata la scorsa estate. Questo ha segnato un po’ un confine: fino a quel momento io ero stata figlia, nel senso che c’era sempre qualcun altro che risolveva le macroproblematiche, mentre negli ultimi mesi il mio ruolo è cambiato, come sono cambiate le responsabilità.
Tu sei entrata nel 2002 quando l’azienda ha intrapreso la sfida dell’internazionalizzazione...
In azienda i soci erano mio padre e mia madre (oggi siamo io e mio padre). Mio padre si è sempre occupato della parte amministrativo-finanziaria, mia madre della parte tecnica.
Quando sono entrata io abbiamo cercato di diversificare, aggiungendo alla produzione di semilavorati una linea di prodotto finito nella pelletteria. Da me è arrivata la sollecitazione a capire che l’internazionalizzare era diventata una necessità oltre che un’opportunità.
Il mercato che in quel momento andava molto di moda era quello russo. Quando mi sono affacciata a quel paese ho subito capito che, per poterci stare, serviva una programmazione e soprattutto la conoscenza. Ho pertanto iniziato a chiedermi chi fosse la donna che compie la scelta d’acquisto, che tipo di abitudini avesse, che tipo di necessità, anche che tipo di tradizioni. Ho capito immediatamente che il mio gusto più europeo, occidentale, pulito e basico, in quel mercato non aveva chance. Tant’è che la mia prima andata a Mosca è stata una catastrofe!
Avevo portato un prodotto molto ben fatto, molto occidentale, di qualità, ma sobrio. Premesso che la qualità quando vieni dall’Italia è pressoché scontata, bisognava lavorare sullo stile, sui gusti dei potenziali acquirenti. Mi ero anche resa conto che dialogare con quel popolo in inglese voleva dire mettere una barriera.
Per me era importante che quando il cliente russo telefonava in azienda ci fosse qualcuno che parlasse la sua lingua come customer service immediato. Il primo investimento che abbiamo fatto è stata una commerciale russa, una madrelingua. Nell’arco di sei mesi la situazione è cambiata radicalmente.
Nel frattempo io mi ero messa a studiare seriamente il mercato, anche seguendo dei corsi di formazione, intercettando bandi, trovando risorse economiche che mi permettessero di avere un temporary manager in azienda, allacciando rapporti con l’Università della moda di Rimini, avendo quindi la possibilità di avere tirocinanti laureati con cui confrontarci.
Ma la scelta decisiva è stata quella di andare sul paese. I primi anni ero in Russia quasi una volta ogni due mesi. Quando c’era una fiera andavamo un po’ di giorni prima e rimanevamo un po’ di giorni dopo, era l’occasione per fare un po’ di giri. Avere in azienda una persona con quella tradizione permetteva un feedback immediato: nel momento in cui proponevo delle linee mi confrontavo immediatamente anche con lei. Per i russi è importante acquistare un prodotto con cui poter dimostrare una capacità di reddito. Più che il gusto, a guidare la scelta era proprio la possibilità di poter testimoniare, con le scarpe, una borsa, ecc. la propria capacità di spesa. Abbiamo dunque provato a rispondere a quel bisogno, utilizzando pietre, Swarovski, ecc. A quel punto mi sono chiesta se non potessi provare a offrire altri prodotti. Io facevo borse, potevo proporgli scarpe, calzature in coordinato... Noi ...[continua]

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