“Se il clima è già di elezioni si può capire come si cominci a parlare di legge elettorale. È chiaro che nessuna legge elettorale può porre rimedio a una condizione come quella dei partiti italiani, però può facilitare il compito a chi volesse rinnovare qualcosa nella politica. Ci sono soltanto due tipi di legge elettorale che consentono un’espressione a tutte le aggregazioni politiche e nello stesso tempo assicurano una stabilità di governo: il collegio uninominale a doppio turno e la proporzionale con lo sbarramento. È vero che ci sarebbero in ogni caso forze politiche non rappresentate in Parlamento, ma la politica non si fa soltanto in Parlamento, come largamente dimostra l’esperienza europea, si fa anche con i mass-media e spesso un’apparizione conta assai più di un discorso alla Camera. In Parlamento si va per governare o per costituire un’alternativa di governo. Delle due possibilità, l’uninominale a due turni è quella che ha le minori probabilità di essere presa in considerazione. Per quanto riguarda l’altro sistema, c’è nell’esperienza italiana in materia di leggi elettorali un precedente che potrebbe fornire qualche spunto. La legge elettorale per la Costituzione era una legge proporzionale pura in cui i resti, cioè i voti che una lista riceveva senza raggiungere un quoziente pieno, venivano utilizzati in un collegio unico nazionale con liste bloccate, cioè presentate dai partiti in cui si era eletti secondo la posizione nella lista. Basterebbe aggiungere una norma in cui si stabilisse che una lista deve superare una certa percentuale di voti per potere accedere al collegio unico nazionale. Ai partiti minori resterebbero due scelte: allearsi tra affini per superare lo sbarramento o allearsi con un partito grande per avere una rappresentanza in Parlamento tramite il collegio unico nazionale. Una maggioranza in Parlamento per approvare una legge del genere esiste certamente. Sarebbe necessario dare per scontato che nei fatti verrebbe posto in discussione il sistema di alleanze dei partiti, ma se è vero che le leggi elettorali non possono influire sulla condizione dei partiti, almeno questo risultato potrebbero raggiungerlo. Se ci fosse la capacità di assumersi delle responsabilità”.
Queste parole, scritte il 15 luglio 2003 sul quotidiano “il Sole 24 0re” da Napoleone Colajanni, nessuno può metterlo in dubbio, hanno un’attualità profonda e convincente. Qualche politico avveduto potrebbe farle proprie ed esibire competenza e concretezza operativa nelle tempeste sociali attuali. Il compagno senatore Colajanni proferirebbe male parole, se gli si dicesse che erano riflessioni profetiche. Egli ebbe nella vita politica lunga e tormentata presenza dominata da due grandi virtù: la capacità di elaborare un pensiero indipendente e la vocazione allo studio delle tematiche politiche ed economiche senza mai accontentarsi delle lusinghe della superficialità e del dilettantismo. È stato scritto in lungo e in largo che aveva un brutto carattere. Eppure, a diciassette anni dalla sua morte forte è l’esigenza di rivisitare le sue riflessioni e il suo impegno politico alto e meditato.
Napoleone Colajanni, nato a Catania nel 1926, in famiglia respirò subito l’aria dell’impegno sociale; il nonno, di cui portava il nome, eminente uomo di cultura, fu tra i fondatori del partito Repubblicano.
Il giovane Napoleone si iscrisse dopo la Liberazione al Partito Socialista Italiano. Dopo la scissione di Saragat, si vantò sempre di aver aderito al Pci dichiarando ai dirigenti siciliani di non essere comunista. Era un suo vezzo, per esibire autonomia politica e allo stesso tempo personalizzare capacità organizzative che nessuno poteva mettere in discussione. Segretario della federazione di Caltanissetta, poi di quella di Palermo, in seguito segretario della regione più tormentata d’Italia. Eletto alla camera nel 1968 e poi senatore occupò posizioni di prestigio nel comitato centrale del Partito, dal quale dopo l’elezione di Occhetto uscì, dopo avere tentato inutilmente di recuperare le ragioni di una politica di sini ...[continua]
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