Sul rapporto fra arte e politica, cultura e società, le Considerazioni di un impolitico che Thomas Mann scrisse a partire dal 1914 e pubblicò nel 1918, sono uno dei libri più lucidi e polemici, viscerali e qua e là imbarazzanti, di primo Novecento. Il grande scrittore, che qualche anno dopo sarebbe diventato uno dei più autorevoli difensori della democrazia contro le dittature, fino a emigrare, nel 1933, prima in Svizzera e poi negli Stati Uniti, in quel libro difende e teorizza la Germania in quanto e perché “non politica”, cioè non democratica, antifrancese e antinglese, più orientale che occidentale nella sua “profondità” spirituale estranea all’intellettualismo illuministico. “Nobiltà dello spirito” contro politica sociale, contro democrazia e umanitarismo civile: ecco il centro del suo libro. Da un lato la Germania impolitica, dall’altro l’Occidente della civilizzazione. Da un lato la cultura come spirito e dall’altro la civilizzazione come vocazione al miglioramento sociale. Del resto le dicotomie sono presenti in tutta l’opera di Mann. La sua stessa narrativa è impregnata di saggistica, di sensibilità alle idee, rappresentate, messe in scena, in opposte tipologie umane, come si vede soprattutto nel suo grande romanzo La montagna incantata. È stato ripetutamente osservato, anche da uno dei suoi migliori interpreti, Hans Mayer, che in Mann è dominante “la rappresentazione di conflitti tra corpo e spirito, tra borghese e artista, tradizione germanica e cosmopolitismo, umanità e disumanità. Conflitti e antitesi che sono sempre causa di sofferenza, e che proprio per questo non potevano non attirare l’attenzione di Thomas Mann”.
Nella sua introduzione alle Considerazioni di un impolitico si legge:

Scrivendo questo libro e sforzandomi in maniera scrupolosa o pedantesca di far decantare in frasi ponderate gli strati profondi della mia esistenza sconvolta dal vortice del tempo, avrei dunque prestato servizio al mio tempo. Qualcuno però, dopo aver preso conoscenza dei capitoli che seguono, giudicherà che io l’ho prestato in una maniera molto ambigua, senza uno schietto amore per il mio tempo, senza disciplina, ma piuttosto con ostinazione, con cento segni di riottosa inimicizia e di malvolere [...] No, lo ammetto, io non sono un cavaliere del mio tempo, non sono un “duce” e non voglio nemmeno esserlo. Non amo i “duci” e non amo neppure i “maestri”, per esempio i “maestri della democrazia”. Meno di tutti però amo e rispetto [...] quella ciurmaglia di galoppini e servitorelli del tempo che trottano sempre affianco del nuovo [...] tanto che oggi è difficile ascoltare il loro gergo senza provarne nausea. Tutta questa gente, siano gli urlatori o siano gli snob dello spirito, godono la libertà della loro nullità. Non sono nulla, e per questo sono liberissimi di pensare e di trinciare giudizi, sempre naturalmente secondo l’ultima moda. Nutro per loro uno schietto disprezzo.
(Considerazioni di un impolitico, De Donato editore, 1967, pp. 11-13)

Risulta evidente da questo passo che Mann ha scritto il suo libro in opposizione al suo contenuto. Si dedica estremamente controvoglia, perfino nauseato, al compito di elaborare, di esprimere le sue idee sul rapporto fra la vocazione di narratore, di artista della parola, e l’impegno politico. Ritiene inconciliabili arte e politica. In aperta e dolorosa polemica con suo fratello Heinrich. La prima cosa di cui si preoccupa Thomas, riconoscendolo subito con fastidio, è che nello scrivere su questo tema si sta sforzando, con scrupolo e pedanteria, di dare forma a frasi in cui emergano anche gli “strati profondi” della sua “esistenza sconvolta dal vortice del tempo”. La politica, i doveri politici imposti dal tempo in cui vive, cioè soprattutto dallo scontro bellico, nonché, più personalmente e privatamente, dal conflitto con il suo fratello maggiore, un esemplare scrittore democratico impegnato contro l’entrata in guerra della Germania: tutto questo lo costringe a qualcosa che, in quanto scrittore, va contro la sua natura. La reazione di Thomas Mann a certi doveri politici imposti dalla contingenza storica è perciò una reazione iraconda, di rigetto e di disprezzo. Gli scrittori politicizzati sono per lui soltanto “ciurmaglia di galoppini e servitorelli del tempo”, sono delle “nullità” incapaci di fare altro.
Qui, se la reazione di Mann è senza dubbio quella di un artista che non si sente disposto a tradire la propria particolare vocazione letteraria, le sue parol ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!